Caso clinico di malattia di la peyronie
Soggetto maschio di 54 anni, si rivolge all’andrologo per comparsa di incurvamento penieno da alcune settimane associato a dolore a carico dell’asta peniena. Da una breve anamnesi ovvero dalla storia clinica del paziente, si evince che questo ha avuto un rapporto sessuale piuttosto violento circa due mesi prima, in particolar modo riferisce che il partner era sopra di lui, quando ha sentito una specie di crepitio all’asta del pene, ma del tutto indolore. All’esame obiettivo, ovvero alla ispezione l’urologo scopre segni di un pregresso ematoma dell’asta peniena. Come dati clinici aggiuntivi, il paziente è anche diabetico, e fa uso di ipoglicemizzanti orali. Da circa due anni in seguito a comparsa di deficit erettile, inoltre ha iniziato ad assumere inibitori delle fosfodiesterasi (viagra) al bisogno. Oltre ad un incurvamento del pene il paziente riferisce anche un serio peggioramento della funzione sessuale da quell’evento traumatico. L’urologo decide quindi di eseguire una ecografia doppler del pene associata all’iniezione di prostaglandine (PGE1 20 cmg). L’esame ecografico mostra una area ispessita come per presenza di tessuto fibroso a carico del terzo prossimale dell’albuginea del pene, in posizione dorsale. Dopo 20 minuti dalla somministrazione del farmaco l’urologo descrive una morfologia del pene decisamente patologica, infatti l’asta risulta curvata in posizione dorsale di quasi 90 gradi con una rigidità che stima essere di 3/5. Al doppler si osservano picchi sistolici di circa 25 cm/sec con velocità di telediastole di 6,4 cm/sec. L’urologo conclude per una malattia di La Peyronie associata a deficit erettile da disfunzione cavernovenosa di dubbia interpretazione. Consiglia una terapia antidolorifica al bisongo, degli integratori a base di vitamina E ed acido paramminobenzoico, da eseguire per 6 mesi. Al controllo il paziente riferisce che il dolore è scomparso, la curvatura del pene si è stabilizzata, e che il deficit erettile è peggiorato. L’urologo decide insieme al paziente di optare per un intervento di corporoplastica di raddrizzamento secondo nesbit, ed un contestuale posizionamento di protesi peniena tricomponente. Il paziente accetta di sottoporsi alla procedura e al controllo post-intervento dopo circa due mesi, il paziente riferisce di aver trovato finalmente una soddisfazione sul piano sessuale, che non riteneva fosse possibile.
Discussione del caso clinico
La malattia di La Peyronie o induratio penis plastica ( IPP), è una fibrosi delle tuniche di rivestimento del pene o dei corpi cavernosi. Questa comporta una alterazione della elasticità dell’asta peniena che può deviare in qualsiasi direzione assumendo in fase di erezione forme decisamente anomale. Spesso non si riesce ad associarla ad un evento preciso, pertanto si suppone che le cause siano spesso idiopatiche ( sconosciute), sebbene è praticamente certa una familiarità. Eventi traumatici che portano al formarsi di cicatrici sono tra le cause di questa condizione patologica. Risulta particolarmente rischiosa la posizione del partner seduto sul soggetto in questione, perché è facile la frattura della tunica albuginea. Queste situazioni favoriscono inoltre un deficit erettile consensuale, legato alla fibrosi dei corpi cavernosi ed alla scarsa elasticità delle arterie elicine. Il soggetto descritto nel caso clinico, era anche diabetico, pertanto presentava di suo un deficit erettile di base. La induratio penis plastica prevede di solito diverse fasi che devono essere conosciute molto bene da un bravo urologo, al fine di evitare facili recidive. Esiste infatti una prima fase detta infiammatoria, nella quale si assiste ad una dolenzia dell’asta del pene, che si associa ad una deviazione del normale profilo dell’organo. In questo momento non è possibile prevedere se la curvatura si stabilizzerà o se peggiorerà o ancora se addirittura regredirà spontaneamente. Pertanto risulta tassativo non intervenire in maniera cruenta per almeno 3 mesi. La diagnosi è clinica, e si supporta ad esami strumentali come l’ecocolor doppler penieno dinamico, che ci fornisce informazioni sulla presenza, localizzazione e dimensione delle placche, funzionalità del sistema arterioso e veno-occlusivo, fondamentale per una integrità funzionale. Può risultare utile visionare delle foto del pene eretto, per avere anche una idea della reale curvatura. La terapia deve tener conto della fase in cui andiamo ad osservare la malattia di la peyronie, dell’entità della curvatura ed eventuale deficit erettile associato. Si può tuttavia agire in maniera sintomatica con utilizzo di antidolorifici ed integratori alimentari specialmente nella prima fase della malattia. Per molto tempo si è utilizzata la vitamina E, oggi si è dimostrato il suo scarso beneficio, tuttavia sostanze come l’acido paramminobenzoico sembrano migliorare anche se di poco la condizione patologica. Risultano sperimentali, l’utilizzo di verapamile da iniettare nella placca, i corticosteroidi ad uso topico o addirittura il tamoxifene. La terapia chirurgia è sicuramente la più efficace e si può adattare alle diverse esigenze del paziente. La procedura è nota come corporoplastica di raddrizzamento secondo Nesbit, e consiste nel pinzare la curvatura del pene ne suo lato convesso fino ad ottenere una morfologia rettilinea. Questa strategia è poco demolitiva, ma è da riservare ai casi di curvatura lieve. Le tecniche possono prevedere anche l’apertura dei corpi cavernosi con rimozione della placca e sutura dell’area incisa; in questo caso perderemo qualche centimetro di lunghezza del pene. È possibile inoltre lasciare la placca, incidere il corpo cavernoso sano sul lato opposto alla placca ed inserire un patch di materiale eterologo che consente di addrizzare l’asta guadagnando anche qualche centimetro.
Qualche volta può essere utile smontare entrambe i corpi cavernosi ed inserire più patch con lo scopo di ottenere un vero e proprio allungamento del pene “ tecnica di Pauolo Egidio”. Nel corso di queste tecniche è anche possibile posizionare delle protesi peniene, che forniscono un utile supporto nei casi di deficit erettile associato. La vera complicanza di queste tecniche è la recidiva, infatti il traumatismo in un soggetto predisposto è la principale causa di fibrosi. Risulta fondamentale quindi informare il paziente di tutto quello che andiamo ad eseguire, e delle aspettative su queste tecniche. Un cenno va fatto anche sulle tecniche di vacuum, che si basano su una pressione negatia esercitata attorno all’organo, in modo da favorirne il riempimento in maniera passiva. Esistono dei protocolli di riabilitazione in tal senso, mirati alla progressiva distruzione delle placche ed aumento della elasticità dei corpi cavernosi. Chiaramente questa tecnica è di supporto, o quantomeno palliativa.