Caso clinico di colica renale
Ragazza di 36 anni, si reca al pronto soccorso per comparsa di forti disturbi irritativi minzionali associati a nausea e vomito. Il medico del pronto soccorso dopo una rapida valutazione obiettiva conclude che si tratta di cistite e dimette la ragazza con terapia antibiotica. La ragazza dopo 3 giorni di terapia non osserva grossi risultati e decide di recarsi dall’urologo. Nella anamnesi l’urologo apprende che la ragazza ha avutoun paio di episodi di colica renale qualche anno prima, oltre ad esserci una familiarità per questa patologia( la madre ed una sorella). All’esame obiettivo la ragazza lamenta dolore la fianco sinistro nel corso della manovra del Giordano anche se di modesta entità. Alla palpazione dei quadranti addominali anteriori di sinistra si risveglia dolenzia. L’urologo decide di eseguire anche una ecografia, che mostra una discreta pielectasia ovvero una dilatazione del bacinetto renale di sinistra. L’ecografia vescicale mostra invece una immagine iperecogena di 4 millimetri in corrispondenza dello sbocco del meato ureterale di sinistra che presenta anche un cono d’ombra. L’urologo conclude per una colica renale sinistra causata da un calcolo meatale, intramurale di circa 4 millimetri. Pertanto l’urologo prescrive alla giovane paziente una terapia antalgica con Ketorolak per via parenterale per 3 giorni, una copertura gastrica con del pantoprazolo, consiglia di proseguire la terapia antibiotica, data al pronto soccorso, per altri 5 giorni. Con grande sorpresa da parte della paziente l’urologo decide di prescriverle in aggiunta una compressa di tamsulosina la sera per una settimana, la sorpresa deriva dal fatto che il farmaco è comunemente dato per curare l’ostruzione da ipertrofia prostatica benigna. Dopo una settimana la ragazza torna al controllo e riferisce di essere asintomatica. All’esame obiettivo il fianco non risulta dolente durante la manovra del giordano, i disturbi irritativi minzionali (aumentata frequenza ad urinare, bruciore e tenesmo vescicale, ovvero la sensazione di non aver svuotato completamente la vescica ) sono cessati. L’urologo esegue una ecografia che mostra la scomparsa della idronefrosi sinistra e l’assenza della immagine iperecogena precedentemente vista, tuttavia il meato di sinistra appare rigonfio.
Discussione del caso clinico
La colica renale è una condizione piuttosto frequente, e che prevede anche una familiarità in molti casi. Per colica si intende un dolore acuto, spesso improvviso a carico di un distretto corporeo ( fianco, ipocondrio destro, mesogastrio ) e può stare ad indicale una patologia della colecisti, del rene o dell’intestino, in funzione della sua sede. Le caratteristiche spesso sono crampiformi, ma in molti casi il dolore è quasi trafittivo, e dipende dallo stiramento delle terminazioni nervose presenti nella parete del viscere. L’andamento crampiforme è legato alle fisiologiche contrazioni periodiche e peristaltiche dell’organo cavo, nella fattispecie l’uretere. La nausea ed il vomito sono indicativi di un coinvolgimento vagale e neurovegetativo. La colica si irradia caratteristicamente all’emiscroto omolaterale nel maschio o al grande labbro omolaterale nella donna. Una ulteriore caratteristica della colica renale è la mancata correlazione con i movimenti o i cambiamenti posturali, che invece caratterizzando la lombosciatalgia. Nel caso in cui il calcolo sia sceso quasi in vescica, i sintomi mimano una vera e propria cistite, e questo può confondere la diagnosi differenziale, a cui fa riferimento il caso clinico precedentemente illustrato. Ogni manovra atta ad aumentare la pressione all’interno dell’uretere evoca dolore, la manovra del giordano infatti consiste del colpire delicatamente il fianco, e si definisce positiva se si accompagna a dolore. Spesso è possibile eseguire in ogni ambulatorio una ecografia, che ci mostrerà i segni della colica renale che consistono in presenza di dilatazione del bacinetto renale ( idronefrosi di primo grado), associata a dilatazione dei calici, ( idronefrosi di secondo grado), dilatazione dell’uretere ( idronefrosi di terzo grado), assottigliamento dello spessore corticale del rene ( idronefrosi di quarto grado). Qualche volta si può osservare il calcolo che si presenta come una immagine bianca ( iperecogena ) con cono d’ombra, ovvero con assenza di echi subito al di sotto del calcolo. Nel caso in cui ci sia idronefrosi, ma non si veda il calcolo, risulta utile eseguire una indagine con il mezzo di contrasto come una TAC, che ci fornisce informazioni sulla presenza, la natura, la posizione e le dimensioni del calcolo. La terapia è basata sull’utilizzo degli antidolorifici. Spesso si associano antispastici senza un vero e proprio razionale, infatti c’è il rischio che questi peggiorino lo stato dell’idronefrosi. Negli ultimi anni tuttavia si è fatta strada questa idea degli alfalitici che provocherebbero il rilassamento dell’ultimo tratto ureterale favorendo la clearance del calcolo. Quindi farmaci notoriamente usati nella cura della ipertrofia prostatica benigna, possono essere d’aiuto nella gestione della colica renale. L’antibiotico potrebbe prevenire quelle che sono le complicanze della colica, ovvero la colica renale infetta, che nei casi estremi può arrivare alla sepsi urinaria. Questi sono ovviamente i casi di gestione conservativa della calcolosi, tuttavia se il calcolo non viene espulso spontaneamente si deve procedere per così dire ad un piano B. Il trattamento può essere eseguito con onde d’urto ESWL, per calcoli inferiori ai 2 cm e che siano posizionati nel contesto del rene, o nel tratto lombare ed intramurale. Nei restanti casi si è costretti ad operare in regime di intervento chirurgico con un approccio endoscopico ( ureterolitotrissia ), o percutaneo ( nefrolitotrissia percutanea ). Sovente risulta utile posizionare un tubicino detto stent, per favorire l’espulsione dei frammenti e mettere a riposo il rene. Altre volte posizionare uno stent può essere il sistema di urgenza nel trattamento della colica renale, come nei casi di dolore refrattario ai farmaci, o un concomitante stato settico. Chiaramente il trattamento con onde d’urto è da preferire poiché evita l’anestesia, anche se per calcoli voluminosi ed in pazienti con grave ateromasia dell’aorta, la procedura risulta contro indicata. Nei casi di approccio chirurgico il calcolo è frammentato con energia meccanica ( utilizzo di aria comressa come nel sistema balistico, o con ultrasuoni, o con il laser). Spesso ci si avvale di pinze e appositi canestri endoscopici per intrappolare e rimuovere i frammenti. In ultima istanza facciamo un cenno a quella che è la prevenzione ai calcoli renali. Non esiste una vera e propria prevenzione tranne casi rari ( iperparatiodismo, malattie intestinali croniche, infezioni ricorrenti dell’alto trattourinario). Quello che si consiglia è l’aumento dell’apporto idrico giornaliero, almeno due litri di acqua al dì.