IL TUMORE DELLA PROSTATA

INTRODUZIONE

Nell’ambito del tumore di prostata, negli ultimi anni si è sempre più affermato il carcinoma localizzato. Questo grazie a una maggior sensibilizzazione della popolazione da parte dei mezzi di informazione, anche se non sempre supportata da evidenze scientifiche; grazie anche allo screening opportunistico del PSA che ha portato a una notevole anticipazione diagnostica della malattia, portando alla luce anche una quota di carcinomi latenti che probabilmente non avrebbe avuto il tempo di manifestarsi durante la vita del soggetto. Purtroppo non è attualmente possibile distinguere alla diagnosi un carcinoma prostatico indolente da uno con caratteristiche di maggior aggressività che potrebbe rappresentare un rischio per la vita del paziente.

In Italia le Società Scientifiche come il CNR non raccomandano il dosaggio del PSA indiscriminatamente dopo i 50 anni, anche se lo screening opportunistico del carcinoma prostatico con PSA è ormai pratica diffusa.

In un soggetto con diagnosi di carcinoma prostatico localizzato e con una aspettativa di vita di 10-15 anni, il trattamento con intento radicale può essere rappresentato dalla brachiterapia, dalla terapia radiante esterna con o senza blocco androgenico e dalla prostatectomia radicale.

Tutte queste tre opzioni hanno subito negli ultimi dieci anni forti innovazioni tecnologiche e strumentali. Per quanto concerne la chirurgia è possibile offrire in centri selezionati la prostatectomia radicale laparoscopica come prima scelta nel trattamento del carcinoma prostatico localizzato. Sebbene occorrano almeno dieci anni per avere la certezza di una pari efficacia dal punto di vista oncologico rispetto alla controparte a cielo aperto, i risultati finora ottenuti sono incoraggianti e inoltre sono già valutabili i risultati funzionali. Non da ultimo, ciò che può orientare il paziente verso l’uno o l’altro trattamento sono le conseguenze sulla qualità di vita legata al suo stato di salute. Ogni trattamento, per quanto risolutivo, porta delle morbilità specifiche con un inevitabile impatto sulla qualità di vita. Un punto critico per il medico, ma anche per il suo assistito, è ponderare durante l’attività di counseling questi cambiamenti attesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

Il cancro della prostata (CaP) viene ora riconosciuto come uno dei principali problemi medici cui è sottoposta la popolazione maschile. In Europa, una stima di  2.6 milioni di nuovi casi di cancro  sono diagnosticati ogni anno. Il cancro della prostata costituisce circa  l’11% di tutti i cancri dei maschi in Europa (Bray F et al, 2002), e costituisce il 9% di tutte le morti per cancro degli uomini all’interno dell’Unione Europea (EU) (Black RJ et al, 1997). Nella maggior parte delle nazioni, pur se non nella totalità, è stato osservato un leggero incremento per la mortalità del cancro della prostata sin dal 1985 (Quinn M et al, 2002). In base agli attuali studi epidemiologici (SEER, Surveillance, Epidemiology and End Results dal 1993 al 1995) un uomo su sei è candidato a sviluppare una neoplasia della prostata nel corso della propria

vita. Anche la mortalità per carcinoma della prostata è un problema notevole: tale neoplasia è la seconda causa di morte per neoplasia negli uomini, collocandosi dopo il cancro del polmone.

Il cancro della prostata colpisce più spesso gli uomini anziani ed è così un grande problema di salute attinente alle nazioni sviluppate, in cui circa il 15% dei cancri della popolazione maschile sono cancri della prostata, in contrasto con le nazioni in via di sviluppo in cui il 4%  dei tumori maligni maschili sono cancri della prostata (Parkin DM et al, 2001).

L’epidemiologia di questa neoplasia è dominata da tre osservazioni: importanti differenze in relazione all’incidenza e alla mortalità in base a fattori geografici ed etnico-razziali (storicamente la differenza è di circa 80 volte tra la popolazione a più alto rischio, gli afro-americani, e quella a più basso, giapponesi e cinesi nelle loro regioni d’origine); la presenza di neoplasie prostatiche occulte o subcliniche con prevalenza relativamente comparabile tra le stesse popolazioni (ovviamente con tassi più elevati in relazione all’incidenza); la stretta relazione tra l’incidenza e l’età, tanto che meno dell’1% delle neoplasie prostatiche sono diagnosticate prima dei 40 anni. E’ bene menzionare che ci sono grandi differenze tra regioni messe a confronto. Per esempio, in Svezia, dove c’è una lunga aspettativa di vita e comparativamente una modesta mortalità per malattie collegate al fumo, CaP è il più comune tumore maligno nei maschi, aggirandosi  al 36.8% di tutti i nuovi casi di cancro nel 2004 (Cancer incidence in Sweden, 2005).

Nonostante le proporzioni epidemiche, il carcinoma prostatico suscita notevoli controversie a causa delle sue insolite caratteristiche biologiche e, almeno sino a tempi recenti, a causa della mancanza di dati sicuri sulla storia naturale della malattia. Il carcinoma prostatico ha una crescita relativamente lenta, con un tempo di raddoppiamento del tumore primitivo stimato tra 2 e 4 anni. Dato che la malattia colpisce frequentemente soggetti anziani con alte percentuali di comorbilità, è stato difficile quantificare il rischio per la salute e per la vita determinato da questo tumore.

L’eziologia del carcinoma prostatico è multifattoriale, ed è il risultato di una

complessa interazione di fattori genetici ed ambientali con l’età e lo stato ormonale del soggetto. L’età è strettamente correlata con il rischio di sviluppare un carcinoma della prostata. Numerosi studi autoptici in differenti nazioni rilevano un’incidenza di carcinoma prostatico occulto in circa il 15-30% dei maschi ultracinquantenni. Intorno agli 80 anni, il 60-70% dei maschi presenta evidenze istologiche di neoplasia prostatica. Anche la diagnosi clinica di carcinoma della prostata aumenta con l’età, con una velocità maggiore rispetto ad altre neoplasie epiteliali. I fattori razziali o geografici conferiscono un rischio variabile. La massima incidenza di carcinoma prostatico spetta ai maschi afro-americani: i dati dello studio SEER dal 1990 al 1995 dimostrano un tasso d’incidenza di 224/100.000, negli afro-americani, di 150/100.000 per i caucasici e di 82/100000 negli americani asiatici. I tassi d’incidenza del carcinoma della prostata sono più alti nell’America settentrionale (92,4/100.000 abitanti) e nell’Europa occidentale

(39,6/100.000 abitanti), sono moderati in Africa (5,1-31/100.000 abitanti), mentre si presentano bassi in Asia (1,1/100.000 in Cina e 8,5 in Giappone). Il tasso aumenta nella popolazione giapponese immigrata negli Stati Uniti, a partire dalla seconda generazione, suggerendo così la presenza determinante di fattori ambientali. A tale proposito si è osservato che soggetti residenti negli ambienti urbani sembrano avere un incremento di rischio di sviluppo del tumore con conseguente incremento del tasso di mortalità. Relazione analoga esiste con il tipo di occupazione dell’individuo colpito. Alcune occupazioni sembrano presentare un rischio aumentato per lo sviluppo del carcinoma della prostata; queste includono i tipografi, i lavoratori della gomma, del settore tessile, i falegnami, i costruttori di barche, gli agricoltori e le persone impiegate nelle industrie farmaceutiche e chimiche.

Tra i fattori ambientali è compreso anche il fattore dietetico. Osservazioni recenti suggeriscono che la dieta, e in particolare un eccessivo apporto calorico e di grassi, possa avere un ruolo causale. La bassa incidenza del carcinoma prostatico nelle popolazioni asiatiche potrebbe pertanto essere relazionata ad una dieta a basso contenuto lipidico e ad alto contenuto in fibre e fitoestrogeni, che a loro volta potrebbero svolgere un ruolo protettivo.

Altri fattori di rischio di crescita includono una bassa assunzione di vitamina E, selenio, lignani e isoflavenoidi (Etminan M et al, 2004).

Un altro fattore di rischio è rappresentato dalla familiarità: i parenti di primo grado di un paziente affetto da carcinoma prostatico hanno un rischio di sviluppare la neoplasia di circa 2-3 volte maggiore rispetto alla popolazione normale. Se un parente di prima linea ha la malattia, il rischio è almeno doppio. Se 2 o più parenti di prima linea sono interessati, il rischio cresce da 5 a 11 volte (Steinberg GD et al, 1990; Gronberg H et al, 1996). Una piccola sottopopolazione di individui con CaP (circa 9%) ha una vera ereditarietà del CaP, stabilita come tre o più parenti interessati o almeno due che hanno sviluppato un precoce inizio di malattia, cioè prima di 55 anni (Carter BS et al, 1992). Pazienti con cancro ereditario della prostata di solito hanno un’insorgenza precoce, circa 6-7 anni prima dei casi sporadici, ma non differiscono da questi in altri modi (Bratt O et al, 2002). Si stimano come ereditarie circa il 5-10% delle neoplasie prostatiche e il 40% degli early-onset cancer (età alla diagnosi inferiore ai 40 anni).

Il carcinoma della prostata è suscettibile, almeno nelle fasi precoci di malattia, alla manipolazione del milieu ormonale. Gli androgeni, infatti, sono necessari per lo sviluppo o la progressione del tumore in molti modelli animali di adenocarcinoma prostatico, e inoltre il carcinoma della prostata non si verifica mai in eunuchi. Tuttavia il ruolo degli androgeni nel determinare tale neoplasia non è ancora precisamente definito. Gli studi epidemiologici mostrano infatti risultati discordanti, e danno adito a varie ipotesi sull’argomento. Una delle evidenze indirette del ruolo degli androgeni è rappresentata dal confronto tra i pattern ormonali degli individui sani nelle popolazioni a differente rischio. I maschi afro-americani, che rappresentano la popolazione a più elevato rischio, presentano maggiori livelli di testosterone, il principale ormone androgeno circolante, rispetto alla controparte caucasica o asiatica (popolazione a rischio inferiore). Tale esposizione comincia già dalla vita intrauterina, poiché le donne afro-americane hanno livelli di testosterone che superano del 50% quelli delle donne caucasiche. Tale super esposizione altererebbe l’equilibrio dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi della progenie afro-americana, giustificando i più alti livelli di testosterone circolante (a 20 anni circa il 13-15% in più rispetto ai coetanei caucasici). I maschi asiatici presentano invece ridotti livelli di androstenediolo glucoronide, indice dell’attività delle 5-alfa reduttasi, l’enzima che trasforma il testosterone in diidrotestosterone (DHT), molecola biologicamente più attiva. Evidenze più

dirette derivano da uno studio prospettico, il Physician Health Study, che dimostra che gli uomini sani appartenenti al quartile di testosterone circolante più elevato hanno un rischio relativo di 2,6 di sviluppare un carcinoma della prostata rispetto a quelli del quartile più basso. Rimane dubbio il ruolo del fumo di sigaretta, sebbene due recenti studi abbiano dimostrato un rischio doppio nella popolazione fumatrice. Fattori socioeconomici, attività sessuale e infezioni non sembrano essere associati con il carcinoma della prostata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. SCREENING E DIAGNOSI PRECOCE

Lo screening di massa o della popolazione è definito come l’esame di uomini asintomatici (a rischio). Di solito lo screening ha luogo nel contesto di una sperimentazione o di uno studio, ed è avviato dal medico sperimentatore. Al contratio, l’esame precoce o lo screening mirato è attivato da colui che si sottopone all’indagine (paziente) e/o dal suo dottore. In entrambi i casi lo scopo è duplice: la riduzione della mortalità specifica del carcinoma prostatico e il miglioramento della qualità della vita.

Per poter valutare realmente l’efficacia di uno screening per carcinoma prostatico sono necessari studi prospettici randomizzati. In Europa sono state avviate due grandi indagini, l’indagine della PLCO (Prostate, Lung, Colorectal and Ovary) e quella della ERSPC (European radomized screening for Prostate Cancer).

Così, ad oggi, non ci sono dati scientifici sufficienti per supportare o programmi di screening per la diagnosi precoce del carcinoma prostatico, mirati a tutti i maschi di una determinata popolazione   (livello di evidenza 3).

Meno controverso, e raccomandato in molte linee guida, è l’uso del PSA in combinazione con l’esame digitale del retto (DRE)  in quanto è di supporto per un diagnosi precoce (livello di evidenza 3).

 

 

 

3.1 DIAGNOSI

 

Gli strumenti diagnostici principali usati per cercare la presenza di CaP includono l’esplorazione digito-rettale (DRE), il PSA e l’ultrasonografia transrettale (TRUS). La diagnosi dipende dalla presenza di adenocarcinoma in campioni ottenuti da biopsia della prostata. L’esame istopatologico permette anche di stabilire lo stato di avanzamento del tumore.

Il rischio di un DRE positivo che si riveli essere un cancro è fortemente dipendente dal valore del PSA (tabella 1, eau guidelines).

 

 

Tabella 1: valore del PSA e rischio di CaP

 

PSA ng/mL                              PPV for cancer

0-1                                              2.8-5%

1-2.5                                           10.5-14%

2.5-4                                           22-30%

4-10                                            41%

> 10                                            69%

PPV = valore predittivo positivo; PSA = antigene prostatico specifico.

 

 

 

 

Il livello del PSA , come una variabile indipendente rappresenta un fattore maggiormente correlato con la presenza di  cancro di quanto lo siano il DRE o la TRUS.

Il rischio cumulativo a 7 anni di essere affetti da carcinoma prostatico in programmi di screening basati sulla misurazione  del PSA e’ del 34% per gli uomini con valori  di PSA  tra il 3 e il 6ng/mL, 44% per quelli con valori di PSA tra il 6 e il 10ng/mL, e il 71% per quelli con valori di PSA>10ng/mL.

Cosi, il rilevamento di un carcinoma prostatico non evidente, è dipendente dal livello sierico del PSA. Non esiste un valore soglia minimo che possa escludere la presenza di un carcinoma prostatico, sebbene 4 ng/mL sia stato usato in molti studi. Negli uomini più giovani, di età tra i 50 e i 60, il tasso di rilevazione era 13,2% nell’intervallo di PSA 3-4ng/mL; la maggioranza di questi cancri era giudicata essere clinicamente significativa. Un recente studio statunitense sulla prevenzione ha mostrato che molti uomini possono essere affetti da carcinoma prostatico nonostante bassi livelli di PSA sierico (Thompson IM et al, 2004). Il tasso di carcinoma prostatico in relazione al  PSA sierico per 2950 uomini e valori normali di PSA è presentata nella tabella 2. Il range di età della biopsia era da 62 a 91 anni.

 

 

 

Tabella 2: Rischio di CaP in relazione a bassi livelli di PSA

 

PSA (ng/mL)                          Rischio di CaP

 

0-0.5                                            6.6%

0.6-1                                           10.1%

1.1-2                                           17.0%

2.1-3                                           23.9%

3.1-4                                           26.9%

PSA = antigene prostatico specifico.

 

 

 

Le seguenti modifiche nel valore del siero PSA,  possono migliorare la specificità del PSA nelle prime rilevazioni del carcinoma prostatico: densità del PSA, PSA eta’ correlato, Isoforme del PSA, Velocità del PSA, PSA doubling time.

Tutte le su citate modifiche possono aiutare a distinguere tra carcinoma prostatico e problemi benigni della prostata, particolarmente nella banda intermedia di PSA (4-10ng/mL). Un consenso non è stato raggiunto, però,  circa l’applicazione di queste modifiche  nella pratica routinaria.

Lo stadio T1c descrive tumori riconosciuti da biopsie fatte solamente a causa di un elevato livello del PSA, con normale DRE e TRUS. Valutando la rilevanza clinica di questo stadio di tumore si e’ dimostrata la presenza di cancri clinicamente non significativi tra l’1% e il 26%, e malattie localmente avanzate tra il 18% e il 49% (Elgamal AA et al, 1997).

Relazioni tra DRE, PSA, TRUS e CaP

Il valore predittivo positivo di varie combinazioni di procedure diagnostiche usate nello screening di popolazione va dal 20% a l’80%. Se è anormale un risultato nell’uso di una delle tre modalità, il tasso di positività della biopsia è 6-25%; se sono alterati due risultati è del 18-60%; e, se tutte e tre le modalità sono alterate, il tasso di positivita’ è del 56-72%.

Il numero ideale dei prelievi bioptici necessari per un rilevazione ottimale del CaP è controverso. Se il primo set di biopsie è negativo, biopsie ripetute possono essere raccomandate. Nella seconda serie di biopsie, un tasso di positivita’ che va da circa il 10% al 35% è stato riscontrato in casi con primo set di biopsie negative (Applewhite JC et al, 2002; Djavan B et al, 2001). In casi dove l’alto grado di neoplasia prostatica intraepiteliale(HGPIN) o proliferazione acinale atipica (ASAP) è presente, dal 50 al 100% di prostate albergano un cancro concomitante e una nuova biopsia è indicata(Zlotta AR et al, 1996; Haggman MJ et al, 1997).

Ad oggi, non c’è nessuno schema di biopsia risolutivo che ometta la necessità di una nuova biopsia nel caso di una persistente indicazione.

 

4 STADIAZIONE

Gli obbiettivi della stadiazione del cancro sono quelli di permettere una valutazione della prognosi e di facilitare la scelta tra le varie opzioni terapeutiche.

Lo “stadio clinico” si riferisce all’analisi pre-trattamento dell’estensione della malattia servendosi di variabili come il DRE, il PSA, l’agobiopsia e le indagini radiologiche.

Lo “stadio patologico” invece, si ricava dopo la rimozione della prostata, grazie ad un’attenta analisi istologica di prostata, vescichette seminali e linfonodi pelvici (se questi sono stati asportati). Si può dire quindi che lo “stadio patologico” rappresenti una stima più accurata della reale estensione della malattia ed è di conseguenza più utile per ottenere una prognosi.

L’importanza di questa stima è sottolineata dal fatto che, le sopravvivenze in soggetti con ripresa biochimica sia cancro-dipendente che cancro-non dipendente della malattia, sono entrambe inversamente proporzionali allo “stadio patologico” della malattia.

I criteri patologici che permettono di predire la prognosi del paziente dopo una prostatectomia radicale sono il grado tumorale, lo stato dei margini di resezione chirurgica, la presenza di una malattia extracapsulare, l’invasione delle vescichette seminali ed il coinvolgimento dei linfonodi pelvici (Jewett et al, 1990; Epstein et al, 1993; Partin et al, 1993).

Servendosi della classificazione TNM, risulta possibile effettuare una stratificazione dei pazienti affetti da cancro della prostata trattati con prostatectomia radicale che prevede tre classi di rischio:

  • Soggetti a basso rischio: stadio  T1c, con PSA  ≤ 10 ng/ml, con Gleason ≤ 6
  • Soggetti a rischio intermedio: stadio T2 o 10 ng/ml ≤ PSA ≤ 20 ng/ml o Gleason = 7
  • Soggetti ad alto rischio: stadio T2c o PSA > 20 ng/ml o Gleason ≥ 8

Le percentuali di una ripresa di malattia a 10 anni dalla prostatectomia radicale sono rispettivamente pari all’83%, 46% e 29% (D'Amico et al).

 

4.1 Stadiazione del tumore

Il primo livello è l’accertamento dello stadio locale di un tumore, dove la distinzione tra malattia intracapsulare (T1-T2) ed estracapsulare (T3-T4) ha il più profondo impatto sulle decisioni del trattamento. L’esplorazione rettale (DRE) spesso sottostima l’estensione del tumore; in uno studio, in meno del 50% di tumori è stata dimostrata una correlazione positiva tra DRE e stadio patologico del tumore (Spigelman SS et al, 1986).

La  combinazione del livello del PSA sierico, la scala di Gleason alla biopsia della prostata e la stadiazione clinica del tumore, però ha dimostrato di essere più utile nel predire lo stadio finale patologico meglio dei parametri individuali presi in se (Partin AW et al, 2001).

Ad oggi sono ancora necessari ulteriori miglioramenti nelle indagini pre-trattamento del carcinoma prostatico. In attesa di ulteriori valutazioni, possono rivelarsi di aiuto l’analisi di biopsie più dettagliate e multiple della prostata (il numero, il grado e l’estensione dei focolai del carcinoma prostatico, la perforazione capsulare).( Ackerman DA  et al, 1993; Sebo TJ et al, 2000). Inoltre, può essere utile correlare la biopsia con la scala di Gleason o con lo stadio patologico finale; circa il 70% dei pazienti hanno malattia localizzata quando il punteggio di Gleason  è uguale o inferiore a 6 (Narayan P et al, 1995).

Sia la TAC che la Risonanza Magnetica Nucleare sono ora uno standard altamente tecnico, ma ne l’una ne l’altra sono sufficientemente affidabili per usarli per accertare una invasione locale di tumore (Jager GJ et al, 2000). In uno studio (Wang L et al, 2007), su 573 pazienti con carcinoma prostatico che hanno subito una prostatectomia radicale, e’ stata valutata la validità dell’MRI endorettale nel predire l’invasione delle vescicole seminali (SVI). In un’analisi patologica, 28 uomini hanno dimostrato l’SVI. Il nomogramma di Kattan più l’MRI endorettale(0.87) hanno un’AUC significativamente più grande di altre indagini endorettali da sole (AUC 0.76) o il nomgramma di Kattan da solo  e perciò aggiunto sostanzialmente alla identificazione preoperatoria di SVI. Però, il suo uso di routine per le situazioni di pre-trattamento di carcinoma prostatico rimane controverso e la MRI non è sempre disponibile. La TAC è più utile nella pianificazione del dosaggio della radioterapia esterna.

 

4.2 Istologia, Gleason score e classificazione TNM

Classificazione istologica del cancro della prostata

La classificazione istologica è mostrata nella tabella 3. In genere più del 95% dei casi di carcinoma prostatico sono adenocarcinomi di tipo classico o acinare. Sono anche note varianti che possono presentarsi raramente in forma pura, più spesso come componenti di un adenocarcinoma di tipo classico.

 

 Tabella 3: Classificazione istologica del carcinoma prostatico

  Adenocarcinoma (NAS)

  Adenocarcinoma tipo acinare

  Carcinoma duttale (endometrioide)

  Carcinoma mucinoso

  Carcinoma a cellule con castone

  Carcinoma neuroendocrino

  Carcinoma a piccole cellule (oat-cell)

  Carcinoma indifferenziato non a piccole cellule

  Carcinoma a cellule transizionali *

  Carcinoma squamoso ed adenosquamoso

  Carcinoma sarcomatoide (carcinosarcoma)

  Carcinoma basaloide

  Carcinoma adenoideo cistico

  Carcinoma simile al linfoepitelioma

* la stadiazione TNM non deve essere applicata a questo istotipo.

 

Gleason Score

Il sistema di Gleason è considerato il sistema di riferimento in tutti i modelli di studio del cancro alla prostata. Si basa sulla valutazione delle caratteristiche architetturali della neoplasia (figura 1). Vengono riconosciuti 5 diversi pattern:

  Gleason 1: tumore composto da noduli di ghiandole ben delimitati,

strettamente ravvicinate, uniformi, singole e separate l'una dall'altra.

  Gleason 2: tumore ancora abbastanza circoscritto, ma con eventuale

minima estensione delle ghiandole neoplastiche alla periferia del

nodulo tumorale, nel tessuto prostatico non-neoplastico.

  Gleason 3: tumore che infiltra il tessuto prostatico non-tumorale; le

ghiandole presentano notevole variabilità di forma e dimensione.

  Gleason 4: ghiandole tumorali con contorni mal definiti e fuse fra

loro; possono essere presenti ghiandole cribriformi con bordi

irregolari.

  Gleason 5: tumore che non presenta differenziazione ghiandolare, ma

è composto da cordoni solidi o da singole cellule.

Il grado di differenziazione del tumore della prostata è uno degli elementi

predittivi più forti e più vantaggiosi, proprio per questo è fortemente

raccomandato. Il Gleason Score è la somma del grado di Gleason primario (o predominante) e di quello secondario(secondo predominante).

Quando il tumore si presenta con un solo pattern, il grado primario viene

raddoppiato per arrivare a uno Score adeguato. Il suo range è da 2 (1 + 1) a 10 (5 + 5). Nel caso in cui venga identificato più di un tumore, separato dal tumore predominante, conviene segnalare un Gleason Score separatamente.

Gli Score di Gleason possono essere raggruppati in categorie di

differenziazione o prognostiche. (tabella 4).

Il sistema di Gleason non va utilizzato, in quanto inaffidabile, nei pazienti

che sono stati sottoposti a trattamento ormonale neoadiuvante; in questi casi deve essere fatto riferimento al Gleason bioptico pre-ormonoterapia.

 

Tabella 4: Gleason Score Gruppi

 

  2-4: ben differenziato

  5-6: moderatamente ben differenziato

  7: moderatamente poco differenziato

  8-10: poco differenziato

 

  oppure

 

  2-6: ben differenziato

  7: moderatamente differenziato

  8-10: poco differenziato

    

 

                                                                                                    Figura 1

 

 

 

 

 

 

 

Stadio

Il protocollo raccomanda di usare il TNM Staging System per il carcinoma della prostata realizzato dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC) e

dall’International Union Against Cancer (UICC). La revisione più recente è stata pubblicata nel 2002. La classificazione clinica (cTNM) (tabella 5) viene normalmente elaborata dal medico prima del trattamento durante la valutazione iniziale del paziente o quando la classificazione patologica non è possibile.

 

Tabella 5: Classificazione TNM clinica (cT) del carcinoma della prostata (UICC 2002)

 

Classificazione                                       Descrizione

Tumore primitivo (T)

TX                                     Il tumore primitivo non può essere definito

T0                                     Non segni del tumore primitivo

T1                                     Tumore clinicamente non apprezzabile,non palpabile

                                          né visibile con la diagnostica per immagine

T1a                                   Tumore scoperto casualmente nel 5 % o meno del

                                          tessuto asportato

T1b                                   Tumore scoperto casualmente in più del 5% del

T1c                                   Tumore diagnosticato mediante agobiopsia (ad

                                          esempio, a causa del PSA elevato)

T2                                     Tumore limitato alla prostata*

T2a                                   Tumore che interessa la metà o meno di un lobo

T2b                                   Tumore che interessa più della metà di un lobo ma

                                          non entrambi i lobi

T2c                                   Tumore che interessa entrambi i lobi

T3                                     Tumore che si estende attraverso la capsula

                                          prostatica**

T3a                                   Estensione extraprostatica (mono- o bilaterale)

T3b                                   Tumore che invade la/e vescichetta/e seminale/i

T4                                     Tumore fisso che invade strutture adiacenti

                                              oltre alle vescichette seminali: collo della

                                              vescica, sfintere esterno, retto, muscoli

                                              elevatori e/o parete pelvica

 

*  un tumore scoperto in uno o entrambi i lobi mediante agobiopsia, ma non palpabile

    o visibile mediante la diagnostica per immagini, è classificato come T1c

** l'invasione dell'apice prostatico o della capsula prostatica (ma non oltre) non è

    classificata come T3 ma come T2

 

Il prefisso “p” si riferisce alla classificazione patologica del TNM (pTNM) ed è opposta alla classificazione clinica. La classificazione patologica è basata sull’esame macroscopico e microscopico (tabella 6).

 

 

 

Tabella 6: Classificazione TNM patologica (pT) del carcinoma della prostata (UICC 2002)

 

Classificazione                           Descrizione

 

pT0                                       Assenza di tumore

pT2*                                      Tumore limitato alla prostata

pT2a                                      Tumore monolaterale, che interessa la metà o

                                                meno di un lobo

pT2b                                      Tumore monolaterale, che interessa più della

                                                metà di un lobo ma non entrambi i lobi

pT2c                                       Tumore che interessa entrambi i lobi

pT3                                         Estensione extraprostatica

pT3a                                       Estensione extraprostatica**

pT3b                                       Infiltrazione della(e) vescichetta(e) seminale(i)

pT4                                         Invasione della vescica o del retto

 

*  non esiste classificazione patologica T1

** la positività dei margini deve essere indicata dal suffisso R1 (malattia residua

    microscopica)

 

Dalla convenzione AJCC/UICC la definizione del “T” della classificazione del TNM si riferisce esclusivamente alla prima resezione di un tumore primitivo. Il “pT” comporta una resezione del tumore primitivo o una biopsia adeguata per valutare lo stadio della categoria pT; il pN comporta la rimozione dei linfonodi adeguati per validare le metastasi linfonodali (tabella 7); la valutazione del pM implica, invece un’esame microscopico delle lesioni a distanza (tabella 8).

 

Tabella 7: Linfonodi regionali (N)

 

Classificazione                           Descrizione

pNX                              I linfonodi regionali non sono stati prelevati regionali

pN0                               Non metastasi nei linfonodi

pN1                               Metastasi in linfonodo(i) regionale(i)

 

Tabella 8: Metastasi a distanza (M)

 

Classificazione                          Descrizione

MX                               Presenza di metastasi non accertata

M0                                Non metastasi a distanza

M1                                Metastasi a distanza

M1a                              Metastasi in linfonodo(i) extraregionale(i)

M1b                              Metastasi ossee

M1c                              Metastasi in altre sedi con o senza metastasi ossee

 

 

 

Quando il tumore subisce un trattamento neoadiuvante di diverso tipo (solo radioterapia, solo chemioterapia o più trattamenti combinati) prima della resezione chirurgica si codifica il TNM usando il prefisso “y” per indicare lo stato del post trattamento del tumore. La classificazione della malattia residua può predire il risultato postoperatorio. In aggiunta la classificazione del ypTNM fornisce una struttura standardizzata per la raccolta di dati necessari alla valutazione di nuove terapie neoadiuvanti.

 

 

 

 

Positività dei margini chirurgici

I margini chirurgici dovrebbero essere definiti come “negativi” se il tumore non è presente sui margini inchiostrati, e come “positivi” se le cellule tumorali sono in contatto con il margine inchiostrato. Il tumore rimanente in un paziente dopo la terapia con interventi curativi (es. resezione chirurgica) è catalogato con un sistema riconosciuto come classificazione R. Questa classificazione può essere utilizzata dai chirurghi per indicare lo stato conosciuto o presunto della completezza della resezione chirurgica. Per il patologo, la classificazione R ha senso solo per i margini dei campioni della resezione chirurgica; i pazienti con tumori che coinvolgono, all’esame microscopico, i margini di resezione possono considerarsi portatori di tumore residuo. Questi pazienti possono essere classificati in tale maniera sia in caso di coinvolgimento macroscopico che microscopico (tabella 9).

 

 

Tabella 9: Tumore residuo nel paziente

 

Classificazione                        Descrizione

RX                                 Presenza di tumore residuo non accertabile

R0                                 Non tumore residuo

R1                                 Tumore residuo microscopico

R2                                 Tumore residuo macroscopico

 

 

 

Il tumore che risulta localmente ricorrente dopo un documentato intervallo libero da malattia a seguito di una resezione chirurgica viene classificato, attraverso la categoria TNM utilizzando il prefisso “r”.

 

 

5. Trattamento: Prostatectomia Radicale

  1. Introduzione

Il trattamento chirurgico del tumore della prostata consiste nella prostatectomia radicale, che vuol dire la rimozione completa della ghiandola prostatica, con la resezione di entrambe le vescicole seminali. La procedura può essere eseguita con approccio transperitoneale,  retropubico, laparoscopico e laparoscopico robot-assistito (Lein M et al,2006; Goeman L et al,2006; Rassweiler J et al, 2006).  Negli ultimi 5-7 anni molti centri Europei hanno acquisito una esperienza considerevole con la prostatectomia radicale laparoscopica (Rozet F et al, 2005). Più recentemente, è stata sviluppata la prostatectomia radicale laparoscopica con assistenza robotica. Nei centri con la maggiore esperienza, i risultati funzionali e oncologici a breve termine sembrano paragonabili con la tecnica a cielo aperto. I risultati oncologici a lungo termine non sono ancora disponibili. La  prima prostatovesciculectomia radicale fu eseguita all’inizio del 20° secolo  (nel 1905) da Young (Young H et al, 1905) che usò un approccio perineale, mentre la prima prostatectomia radicale con approccio retropubico fu condotta da Memmelaar e Millin (Memmelaar J et al, 1949). Nel 1982, Walsh e Donker descrissero l’anatomia del complesso dorsale venoso e del fascio neuro vascolare (Walsh PC et al, 1982). Questo studio ha comportato una significativa riduzione della perdita di sangue e il miglioramento della continenza urinaria  e della potenza sessuale.

Un approccio chirurgico mini invasivo per il trattamento del cancro della prostata fu descritto da Schuessler e colleghi in 1997 che eseguirono la prima prostatectomia radicale laparoscopica (LRP). Basandosi su una serie di 9 pazienti (Schuessler et al, 1997), oseervarono che i tempi operatori erano lunghi (da 8 a 11 ore), così come era lunga la degenza media 7.3 giorni (da 1 a 22 giorni). Anche se il trattamento del cancro con LRP fosse ritenuta comparabile con la chirurgia open, gli autori conclusero che la LRP non offriva vantaggi significativi rispetto alla chirurgia open. Per questo,  la LRP non fu adottata estesamente in campo urologico.

Dal 20 secolo, le innovazioni  della strumentazione chirurgica, ottiche, attrezzatura di video digitale così come computer e  tecnologia  robotica, aprirono una nuova frontiera per la prostatectomia radicale laparoscopica mini invasiva. Queste innovazioni condussero gli urologi a rivisitare LRP, nel 2000  due centri in Francia condussero un lavoro che trattava della loro tecnica e dei risultati a breve termine (Guillonneau e Vallancien, 2000; Abbou et al, 2000). Il loro approccio per step nell’esecuzione della LRP provava ad  essere sia riproducibile, che insegnabile, anche se la curva di apprendimento rimaneva lenta. I tempi operatori riportati erano di  4-5 ore, con una percentuale di margini positivi che variava dal 15% al 28%. Entrambi i gruppi riportarono eccellenti tassi di continenza (Guillonneau e Vallancien: 72%; Abbou et al: 84%) e potenza che fu mantenuta nel 45% degli uomini che erano potenti preoperatoriamente, nella serie di Guillonneau e Vallancien (2000). Come conseguenza del loro lavoro di pionieri, questi due centri francesi riaccesero l’interesse mondiale nei confronti della prostatectomia radicale laparoscopica.

La recente introduzione delle apparecchiature robotiche avanzate come il “daVinci Surgical System” (Intuitive Surgical, Inc., Sunnyvale, CA) nel campo della chirurgia urologica ha aggiunto  nuove speranze di ridurre i tempi operatori e la curva di apprendimento per la prostatectomia mini invasiva (Menon net al, 2002). Dall’unione della  sofisticata tecnologia con un movimento del polso e delle punte terminali degli strumenti robotici, un chirurgo è capace di operare, sutura, e dissecare con la facilità di un polso umano. In aggiunta, la superiore vista tridimensionale offerta da questo sistema robotico fornisce al chirurgo una prospettiva senza precedenti dell'anatomia periprostatica.

A oggi, la prostatectomia radicale è l’unico trattamento per CaP localizzati che ha mostrato un beneficio nella sopravvivenza cancro specifica se paragonato alla gestione conservativa in trials randomizzati prospettici (Bill-Axelson A et al, 2005). L’esperienza chirurgica ha diminuito il tasso di complicanze e ha migliorato la cura del cancro (Potosky AL et al, 1999). Nelle mani di un urologo esperto, la procedura  è associata ad una morbilità minima intra -operatoria e post-operatoria(Lepor H et al, 2001; Augustin H et al, 2003). L’approccio retropubico è il più comunemente eseguito rispetto a quello transperineale, poiché esso permette l’esecuzione simultanea  della linfoadenectomia. E’ stato ipotizzato che la prostatectomia radicale perineale possa dare margini positivi più frequenti rispetto all’approccio retro pubico (Maffezzini M et al, 2003), ma ciò non è stato confermato (Boccon-Gibod L et al, 1998). E’ verosimile che la prostatectomia laparoscopica e la prostatectomia perineale abbiano una più bassa morbilità rispetto alla prostatectomia retropubica, anche se ad oggi non sono ancora disponibili studi randomizzati.

In uomini con CaP localizzati e un’aspettativa di vita di 10 anni o più, lo scopo di una prostatectomia radicale, con qualsiasi approccio,  deve essere l’eradicazione della malattia (Weldon VE et al, 1995). Infatti non c’è alcun limite di età rigido per una prostatectomia radicale ed a un malato non dovrebbe essere negata questa procedura solo basandosi sull’età (Huland H et al, 1997). Però, è bene mettere in evidenza che con il crescere dell’età aumentano le co-morbilità e diminuisce il rischio di morte cancro specifica (Corral DA et al, 1994).

Il vantaggio principale della prostatectomia radicale è che se è compiuto abilmente, offre la possibilità di cura col minimo danno collaterale ai tessuti circostanti ( Han et al, 2001b ; Hull et al, 2002 ). Ancora, offre una stadiazione più accurata del  tumore attraverso l’esame istologico del pezzo chirurgico. Inoltre, il fallimento del trattamento è identificato più prontamente, e il decorso postoperatorio è molto più regolare che in passato. In pochi casi sono richieste trasfusioni di sangue  omologo. L’ospedalizzazione, solitamente va da 2 a 5 giorni, e la mortalità intraoperatoria è rara nell'era moderna. La prostatectomia radicale riduce significativamente la progressione locale e le  metastasi a distanza e migliora le percentuali di sopravvivenza cancro-specifiche e complessive comparate con il watchful waiting ( Bill-Axelson et al, 2005 ). Alcuni pazienti con ricorrenza di malattia dopo prostatectomia radicale,  possono giovare della  radioterapia postoperatoria, in alcuni casi  potenzialmente curativa ( Stephenson et al, 2004).

Gli svantaggi potenziali della prostatectomia radicale sono l'ospedalizzazione necessaria e un periodo di ricupero; la possibilità di resezione incompleta del tumore, se l'operazione non è compiuta propriamente o se il tumore non è organo confinato;  il rischio di disfunzione erettile e di incontinenza urinaria. Comunque, la disfunzione erettile e le complicanze rettali sono meno probabili con chirurgia nerve-sparing rispetto alla  radioterapia, e buoni trattamenti sono disponibili per l'incontinenza urinaria e la disfunzione erettile.

 

5.2 Sommario per le indicazioni alla tecnica nerve-sparing

1. La prostatectomia radicale nerve sparing può essere eseguita  nella maggior parte degli uomini che si sottopongono ad una prostatectomia radicale (Gontero P et al, 2005; Sokoloff MH et al, 2001). Nell’ultimo decennio è stato evidente un drammatico aumento delle diagnosi di tumori a basso stadio. Ma soprattutto gli uomini cui viene posta la diagnosi sono sempre più giovani e quindi sempre più interessati a preservare la funzionalità sessuale. Tuttavia una chiara controindicazione a questo tipo di chirurgia, è rappresentata da quei pazienti che presentano un alto rischio di malattia extracapsulare, come alcuni tumori della prostata cT3, cT2c, PSA > 10 ng/ml, Gleason score > 6 alla biopsia, o con più di un core bioptico maggiore o uguale a 7, dal lato selezionato per la nerve sparing. Le tavole di Partin costituiscono un’utile guida per prendere una decisione (Partin AW et al, 2001).

2. Se resta qualche dubbio sulla presenza di un tumore residuo, il chirurgo dovrebbe in ogni caso rimuovere il fascio neurovascolare.

3. In alternativa, l’impiego di un esame istologico intraoperatorio, può essere di aiuto nel prendere una decisione. Il paziente deve essere informato prima dell’intervento riguardo al rischio operatorio che comporta una nerve sparing, e sui dati relativi alla potenza sessuale postoperatoria riportati dal chirurgo, e sulla possibilità che, per assicurare un adeguato controllo della malattia, i nervi possano essere sacrificati, per quanto la valutazione preoperatoria possa essere favorevole ad una ipotesi del loro risparmio.

 

  1. Tecniche chirurgiche: Prostatectomia Radicale

 

Tecnica transperineale

La tecnica  perineale è un trattamento chirurgico  accettabile quando  compiuto da un chirurgo che ha confidenza con questo tipo di approccio (Scolieri e Resnick, 2001). E’ associato con meno perdita di sangue ed un tempo operatorio più breve rispetto all'approccio retropubico. Gli svantaggi sono l’impossibilità della dissezione linfonodale, una percentuale più alta di danno rettale, e la presenza di  incontinenza fecale postoperatoria occasionale che non accade comunemente con gli altri approcci (Bishoff et al, 1998). Con questo approccio è più difficile l’esecuzione di una procedura nerve-sparing.

Tecnica retropubica open

L'approccio retropubico open è preferito dalla maggior parte  degli urologi per la loro familiarità con l'anatomia chirurgica; il rischio di un danno rettale e di incontinenza fecale postoperatoria è più basso; l'esposizione larga consente un ottimo accesso per la linfadenectomia e la possibilità di eseguire una procedura nerve-sparing; il rischio di margini chirurgici positivi è più basso.

Tecnica laparoscopica

La prostatectomia radicale laparoscopica è  associata a una minore incidenza di sanguinamenti,  migliore visione, ridotto dolore postoperatorio, e più breve convalescenza rispetto all'approccio open. Comunque, queste conseguenze sono di solito meno importanti per il paziente che ha come unico obiettivo  la cura della sua malattia, la conservazione della sua potenza e l'evitare altre complicazioni più serie. La prostatectomia radicale laparoscopica può essere compiuta attraverso un approccio transperitoneal o extraperitoneale. L'approccio  transperitoneale facilita la linfadenectomia ma porta ad un più alto rischio di danno intestinale e vascolare, ascite urinaria, ed occlusione intestinale postoperatoria.

Inoltre, la prostatectomia radicale laparoscopica è associata con un più alto rischio di complicanze severe. L’emostasi è difficile da eseguire salvaguardando i fasci di neurovasculari a causa della difficoltà relativa nel mettere rapidamente suture emostatiche. L’utilizzo di uno scalpello armonico o elettrobisturi possono danneggiare irreversibilmente i nervi cavernosi. Anche se le perdite di sangue  intraoperatorie sono inferiori con la chirurgia laparoscopica, l’emorragia postoperatoria può verificarsi dopo la liberazione della pressione positiva nel campo operatorio. Danni rettali, ureterali,  vascolari e rotture di anastomosi sono state più comuni con la tecnica laparoscopica ( Rassweiler et al, 2003 ).

Quando la tecnica è esguita da un chirurgo laparoscopista esperto, le percentuali riporate di incontinenza e di stenosi dell’anastomosi sono comparabili con quelle della tecnica open. E’ stato riportato che la tecnica nerve-sparing laparoscopica dà risultati equivalenti o addirittura migliori rispetto alla tecnica open, ma mancano lavori di confronto in letteratura (Menon e Tewari, 2003). Le percentuali riportate di margini chirurgici positivi sono più alte con la tecnica laparoscopica, ma i dati oncologici sono ancora  incerti a causa della mancanza di risultati a lungo termine.

Tecnica laparoscopica robot assistita

È stata introdotta sul mercato come una tecnica meno invasiva, tecnologicamente è il metodo più avanzato per compiere l'operazione, dando meno dolore e un recupero più rapido. La disponibilità della visualizzazione tridimensionale è un vantaggio rispetto alla tecnica  laparoscopica standard.    I risultati a breve termine riportati sono favorevoli ma non sono stati convalidati  ( Menon et al, 2002 ; Menon and Tewari, 2003 ). Non è ancora certo che i risultati ottenuti con questa tecnica siano buoni come quelli della tecnica open ( Smith, 2004 ; Webster et al, 2005).

 

  1. Descrizione punti chiave della tecnica chirurgica open

 

La prostatectomia radicale comporta la rimozione completa della ghiandola prostatica e delle vescicole seminali e di solito include anche la linfoadenectomia pelvica. I principali punti per compiere una anatomicamente corretta prostatectomia radicale nerve-sparing sono i seguenti:

 

Linfadenectomia pelvica

 

La dissezione linfonodale si esegue prima della prostatectomia radicale. La dissezione si inizia scollando l'avventitia sulla vena iliaca esterna. La dissezione procede al di sotto della vena iliaca esterna all’esterno della parete dello scavo pelvico e  inferiormente al canale femorale, dove i vasi linfatici sono legati ad un punto conveniente. Non c'è nessun bisogno di rimuovere il linfonodo di Cloquet. La dissezione procede poi superiormente lungo la parete dello scavo pelvico fino alla biforcazione dell'arteria iliaca  comune, dove i linfonodi nell'angolo tra le arterie iliaca esterna e ipogastrica vengono rimossi. Nel momento in cui il pacchetto linfonodale viene sezionato e spostato superiormente si può incontrare una vena otturatoria accessoria che è preferibile legare e sezionare per evitare un suo danneggiamento. Avendo cura di retrarre con delicatezza lateralmente la vena iliaca esterna, il pacchetto linfonodale viene distaccato lateralmente dalla parete dello scavo pelvico. Nello spingere la linfoadenectomia nella fossa otturatoria è essenziale identificare il nervo otturatorio per evitare di danneggiarlo. Il pacchetto linfonodale viene liberato dal nervo e dai vasi otturatori. Se i vasi otturatori si trovano nella loro normale posizione anatomica , cioè al di sotto del nervo, essi possono essere risparmiati. A questo punto della procedura, il pacchetto linfonodale rimane adeso cranialmente solo all’arteria iliaca interna. Il pacchetto linfonodale viene spostato al di sopra nel nervo otturatorio e una clip ad angolo retto viene posta su ciascuno dei vasi linfatici  che sono sezionati avendo cura in tal modo di evitare l’uretere durante la manovra.

 

 
   

Incisione della fascia endolpelvica e sezione dei legamenti puboprostatici

 

Si asporta il tessuto fibroadiposo che ricopre la prostata esponendo la fascia pelvica,  i legamenti puboprostatici e il ramo superficiale della vena dorsale. La fascia endopelvica viene incisa a livello della sua riflessione sulle pareti del bacino, ben distante dai suoi punti di contatto con la vescica e con la prostata. La sede di incisione è dove la fascia è trasparente e consente di vedere  la sottostante muscolatura dell’elevatore dell’ano. L’incisione della fascia endopelvica viene quindi accuratamente prolungata in direzione anteromediale, verso i legamenti puboprostatici, consentendo al chirurgo di apprezzare palpatoriamente le pareti laterali della prostata. A questo punto si trovano piccoli rami arteriosi e venosi che si dipartono dai vasi pudendi e, perforata la muscolatura pelvica, irrorano la prostata. Si esegue la dissezione delle fibre dell’elevatore dell’ano dalla superficie laterale della prostata fino all’apice.

Si deve porre cura nell’isolare il ramo superficiale della vena dorsale dal bordo mediale dei legamenti prima di sezionarli. Si disloca posteriormente la prostata e si sezionano con leforbici i legamenti tagliandoli sulla linea mediana. La manovra apre lo spazio tra la prostata e il pube mostarndo ancora meglio i legamenti stessi, che non sono delle semplici benderelle fasciali deputate a fissare la prostata al pube ma, piuttosto, delle strutture di forma piramidale appartenenti a un  meccanismo di sospensione dell’uretra più complesso, deputato a solidarizzare il suo segmento membranoso con le ossa pubiche. Si deve fare ogni sforzo per conservare le componenti pubouretrali. Con la dissezione dei legamenti puboprostatici appare chiaramente visibile il ramo superficiale  della vena dorsale lungo la linea mediana, sul collo della vescica. Questo vaso dovrebbe cautamente essere isolato dalla sottostante superficie e coagulato.

 
   


 

Sezione del complesso venoso dorsale

 

È possibile individuare la parete laterale dell’uretra, subito al di sotto dell’apice prostatico. Davanti al catetre si trova una spessa struttura costituita dal tronco principale della vena dorsale , dallo sfintere striato dell’uretra e dalla circostante fascia pelvica. Se queste strutture non sono facilmente riconoscibili, significa che la muscolatura dell’elevatore dell’ano non è stata ben isolata dalla parete laterale della prostata. Si passa nel piano avascolare tra la superficie anteriore dell’uretra e la superficie posteriore del complesso venoso dorsale.

 

 
   

Si comincia con l’emostasi del reflusso venoso esguita attraverso un punto riassorbibile 0 che si estende ampiamente sulla superficie anteriore della prostata.  Si inizia a tagliare il complesso dalla superficie. L’emostasi è realizzata mediante una sutura a U, che unisce i margini di sezione della fascia pelvica laterale.

 

Sezione dell’uretra

 

Bisogna ricordare che non esistono limiti chirurgici tra le fibre sfinteriche e la ghiandola prostatica; questa operazione richiede la massima attenzione. L’apice deve essere individuato perfettamente. La sezione deve essere verticale a circa 1 mm dall’apice e lasciare alcune fibre sfinteriche in sede per sicurezza. L’uretra deve essere esposta reclinando posteriormente la prostata, il che mette in tensione la mucosa uretrale. Viene incisa la mucosa; il punto di incisione deve essere perpendicolare alle pareti laterali dell’apice prostatico. Vengono sezionate le fibre muscolari dello sfintere striato e quindi si identifica una lamina fibrosa sulla quale si inserisce, ovvero la fascia di Denonvilliers. Quindi si incide la stessa sulla linea mediana e si riscontra facilmente uno spazio di dissezione prerettale, tra fascia di Denonvilliers e fascia prerettale che ricopre il retto.

 

 
   

 

Identificazione e preservazione delle banderelle neuro vascolari

 

La fascia pelvica laterale è composta da due foglietti, la fascia dell’elevatore dell’ano e la fascia prostatica, le banderelle neuro vascolari decorrono tra queste due strutture. Si libera il foglietto superficiale della fascia pelvica laterale cominciando dal collo vescicale e continuando fino all’apice, così da liberare lateralmente le benderelle per facilitare il successivo passaggio rappresentato dall’isolamento delle stesse a livello dell’apice. Individuato sull’apice  il bordo mediale della banderella, si può procedere alla dissezione sulla linea mediale posteriore in direzione del retto. Avendo sviluppato il piano tra retto e prostata sulla linea mediana, è ora possibile scollare le benderelle neuro vascolari della prostata, dall’apice verso la base, facendo ruotare in senso laterale la ghiandola. Durante questa manovra l’emostasi dei peduncoli viene eseguita mediante il posizionamento di miniclips parallele alla banderella. La dissezione superselettiva viene terminata quando inizia a comparire la parte posteriore delle vescicole seminali, ricoperta dalla fascia di Denonvilliers.

In alcune situazioni può essere necessario asportare la fascia pelvica latrerale e le benderelle neuro vascolari da uno o da entrambi i lati. Le situazioni sono: trattamento chirurgico di un paziente impotente; solco prostatico laterale compromesso all’esame clinico preoperatorio; valutazione dello stadio patologico basata sulla determinazione preoperatoria del PSA, sul Gleason e sullo stadio clinico; aumento di consistenza della fascia pelvica laterale riscontrato durante l’intervento; aderenza di una banderella neuro vascolare alla  capsula prostatica.

 

 
   
 
   

 

 

Dissezione posteriore e sezione dei peduncoli laterali

 

Si procede allo scollamento della prostata dal retto e si incide sulla linea mediana posteriore l’aderenza tra retto e Denonvilliers. Dovendo sviluppare il piano tra il margine laterale delle vescicole seminali e la sovrastante fascia pelvica laterale, i peduncoli laterali vengono sezionati. Prima di aggredire il collo vescicale si dovrebbe incidere la fascia di Denonvilliers vicino all’apice delle vescicole seminali. La completa sezione dei peduncoli prostatici facilita enormemente la visualizzazione e la dissezione delle vescicole seminali.

 

 

 

 
   

Dissezione vesciculodeferenziale

 

Si trazionano e sezionano i dotti deferenti. Si scollano le vescicole seminali dalle altre strutture, chiudendo con clip i piccoli rami arteriosi, rimanendo molto vicini al versante vescicolare. Liberata la punta delle vescicole, individuati e sezionati i piccoli rami arteriosi che si trovano all’estremo di ogni vescicola, si procede a liberare ogni residua aderenza dalla fascia di Denonvilliers.

 

 

 
   

Conservazione, resezione del collo vescicale e anastomosi vescico-uretrale

 

Dopo che le vescicole sono state sezionate, appare ben visibile la giunzione tra la parete posteriore della prostata e il collo vescicale. A questo punto si esegue l’incisione del collo vescicale, sfruttando una qualsiasi fonte di energia, ed esercitando una trazione tra prostata e vescica, in modo tale da conservare e rispettare il più possibile l’anatomia del collo vescicale.

Si procede al confezionamento dell’anastomosi vescico-uretrale con 6 punti staccati.

 

 

 
   
  1. Complicanze e conseguenze della prostatectomia radicale open (tabella 10)

 

Complicanze intraoperatorie

La complicanza  intraoperatoria più comune è l’emorragia, di solito di tipo venoso. Si può verificare durante la linfadenectomia pelvica se uno dei rami della vena ipogastrica viene lacerato involontariamente. Il sanguinamento si può verificare anche durante l’incisione della fascia endopelvica se fatta troppo vicina alla prostata, durante la divisione dei legamenti puboprostatici se i legamenti non sono sezionati separatamente dal ramo superficiale della vena dorsale o fascia prostatica anteriore, e durante l’esposizione dell'apice della prostata con la sezione del complesso venoso dorsale. Se la vena dorsale non è divisa completamente, la trazione sulla prostata apre la porzione venosa  parzialmente sezionata e di solito peggiora l'emorragia. È imperativo, per ottenere una emostasi eccellente, prima approcciare l'apice della prostata, così che le strutture anatomiche possano essere osservate in un campo esangue. Con una tecnica accurata ed una conoscenza completa dell’anatomia, la perdita di sangue media durante la prostatectomia radicale open è 1000 ml.

Complicanze meno comuni includono lesioni del nervo otturatorio durante la lifadenectomia, lesione rettale, e danneggiamento degli ureteri. Se il nervo otturatorio è sezionato, un tentativo di rianastomosi dovrebbe essere eseguito con suture non assorbibili.

Il danno rettale è una complicanza infrequente ma seria. In 3500 casi consecutivi, 11 lesioni del retto furono registrate. Si verificano durante la dissezione dell’apice nel tentativo di guadagnare lo spazio tra il retto e la fascia di Denonvilliers. Se si verifica un danno rettale, la procedura dovrebbe essere completata. È saggio interporre l’omento tra la sutura rettale e l’anastomosi vescico-uretrale per ridurre la possibilità di una fistola retto-uretrale. Questo manovra può essere eseguita semplicemente facendo una piccola apertura nel peritoneo, dividendo il peritoneo nel cul-de-sacco retrovescicale. Lo sfintere anale durante la sutura viene divaricato da un assistente per evidenziare il danno rettale. Si esegue una sutura in doppio strato. La ferita dovrebbe essere irrigata copiosamente con soluzione antibiotica, ed al paziente dovrebbe essere somministrati antibiotico a largo spettro per batteri aerobi ed anaerobi. Quando fu usata questa tecnica senza una colonstomia, tutti i pazienti recuperarono senza sviluppare infezione della ferita, ascesso pelvico, o fistola retto-uretrale (Borland e Walsh, 1992). Il danno ureterale è secondario alla dissezione disattenta mentre si tenta di identificare lo spazio corretto tra la vescica e le vescicole seminali. Se si verifica questo danno, l’uretere dovrebbe essere reimpiantato.

 

Complicanze postoperatorie

Il sanguinamento dopo la  prostatectomia radicale è definito come emorragia postoperatoria e significativa che costringe la trasfusione acuta di sangue a sostenere la pressione arteriosa. Su  1350 prostatectomie radicali consecutive, si verificarono 7 casi (0.5%) di questa complicanza (Hedican e Walsh, 1994). Di questi, quattro pazienti furono esplorati chirurgicamente per controllare il sanguinamento e tre furono osservati scrupolosamente. La quantità di sangue richiesta per i pazienti esplorati fu sovrapponibile a quella dei pazienti osservati, anche se ospedalizzazione totale fu più corta nei pazienti che subirono una esplorazione chirurgica. Nei tre pazienti non operati, l'ematoma pelvico si esaurì attraverso l’anastomosi uretro-vescicale, dando luogo a stenosi del collo di vescicale in tutti i tre i pazienti e problemi a lungo termine di incontinenza urinaria in  due. Solamente uno dei quattro pazienti esplorati (25%), svilupparono un’incontinenza lieve, ma prolungata. Questi risultati suggeriscono che pazienti che richiedono trasfusioni acute per ipotensione dopo prostatectomia radicale dovrebbero essere esplorati per evacuare l'ematoma pelvico per ridurre la probabilità di stenosi del collo vescicale e la percentuale di incontinenza. 

Le tromboflebiti con embolia polmonare (0,8-7,7%) sono la maggiore causa di mortalità dopo prostatectomia radicale. Misure per prevenire questa complicanza includono un corretto posizionamento sul tavolo operatorio per evitare compressione delle vene delle estremità distali, uso di apparecchiature di compressione intermittenti, utilizzo di profilassi con eparina a basso peso molecolare e la precoce mobilizzazione.

Le stenosi del  collo vescicale si verificano dallo 0.5% al 10% dei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale. Insorgono quando vi è una inadeguata giustapposizione della mucosa vescicale e uretrale. Questo può essere determinato da   stravaso di urina e distrazione del collo vescicale a causa di  un ematoma. Se il trattamento con la semplice dilatazione va a vuoto, si esegue l’incisione con lama a freddo.

 

Incontinenza Urinaria

Dopo prostatectomia radicale open, l'incontinenza è di solito secondaria alla deficienza dello sfintere intrinseco. In alcuni uomini, lo sfintere striato può essere poco sviluppato, negli anziani è più sottile e contiene più collageno (Burnett e Mostwin, 1998; Al di et di Strasser, 1999). Comunque, la causa predominante di questa deficienza è il danno durante la legatura e sezione del complesso venoso dorsale. La muscolatura liscia dell'uretra che contribuisce anche alla continenza può essere danneggiata dal posizionamento di grossolane e profonde suture per l'anastomosi o da denervazione dei fasci di neurovasculari. Inoltre, il collo vescicale deve essere flessibile, con un diametro che non deve essere molto grande, perché la continenza urinaria può essere impedita dallo sviluppo di una stenosi del collo vescicale o da un collo vescicale ampio (Horie et al, 1999; Groutz et al, 2000). Per evitare questa complicanza è importante preservare lo sfintere striato durante la dissezione dell’apice, evitare la tensione sulla anastomosi scollando la vescica dal peritoneum se necessario, ricostruire il collo vescicale, ed eseguire un preciso accostamento di mucosa-a-mucosa durante l’anastomosi.

L’incidenza della lieve stress incontinence in letteratura varia dal 4% al 50%; mentre l’incontinenza severa varia dallo 0% al 15%.

In un lavoro con un follow-up di 24 mesi, Stanford e colleghi (2000) riportarono che dopo prostatectomia radicale open, l’8.4%  dei pazienti avevano una incontinenza severa. In contrasto, lo studio riportato da Walsh nel quale il 93% dei pazienti non utilizzavano presidi dopo 1 anno, e il 98% non aveva un problema di incontinenza urinaria significativo (Walsh et al, 2000). Durante il loro recupero, i pazienti hanno bisogno di incoraggiamento continuo e consigli ad intervalli regolari. I dettagli di questo programma sono riportati in letteratura (Walsh e Worthington, 1995 e 2001).

 

Disfunzione Erettile

Tre sono i fattori importanti per il recupero della funzione erettile dopo prostatectomia radicale open: l'età del paziente (< 65 anni), lo status preoperatorio della potenza, e la  preservazione di entrambi i fasci neurovascolari.

In letteratura, l’impotenza ha un’incidenza che varia dal 29% al 100%.

In un lavoro di Walsh, a 18 mesi, l’86% dei pazienti erano capaci avere rapporti sessuali con o senza sildenafil (Walsh et al, 2000). Il recupero della funzione sessuale avveniva gradualmente: 38% erano potenti a 3 mesi, 54% a 6 mesi, 73% a 12 mesi, e 86% a 18 mesi. Il recupero della funzione sessuale era correlato anche con l'età del paziente e la  durata della chirurgia: 100% in uomini tra 30 e 39 anni, 88% in uomini tra 40 e 49 anni, 90% in uomini tra 50 e 59 anni, e 75% in uomini tra 60 e 67 anni. Questi dati furono aggiornati recentemente (Parroci et al, 2004). A 3 mesi, 42% dei pazienti erano potenti; a 6 mesi, 49%; ed a 1 anno, 73%. In questi lavori, più pazienti avevano entrambi i fasci neurovascolari preservati. In pazienti in cui solamente uno dei fasci neurovascolari era preservato, il 65% dei pazienti erano potenti. 

 

 

Tabella 10: Complicanze della prostatectomia radicale open

 

Complicanza                                               Incidenza (%)

 

• Morte peri-operatoria                                  0.0-2.1

Sanguinamento maggiore                            1.0-11.5

• Perforazione del retto                                  0.0-5.4

• Trombosi venosa profonda                        0.0-8.3

• Embolia polmonare                                     0.8-7.7

• Linfocele                                                        1.0-3.0

• Perdita di urine, fistula                               0.3-15.4

Lieve stress incontinence                             4.0-50.0

Severa stress incontinence                           0.0-15.4

Impotenza                                                      29.0-100.0

• Stenosi del collo vescicale                          0.5-14.6

• Stenosi ureterale                                           0.0-0.7

• Stenosi uretrale                                             2.0-9.0

 

 

Risultati oncologici

La definizione patologica di margine chirurgico positivo è: “ tumore che si estende sulla superficie inchiostrata del pezzo anatomico che il chirurgo ha tagliato”. Comunque i fattori che determinano maggiormente lo stato dei margini sono di natura biologica (volume, distribuzione e aggressività del tumore) e chirurgica (tipo di procedura, tecnica ed esperienza).

La percentuale di margini chirurgici positivi, riportata in letteratura, dopo prostatectomia radicale open varia tra 11-38 %  (tabella 11).

I margini chirurgici positivi sono uniformemente riconosciuti come indicatore sfavorevole, associato con un incremento del rischio di ripresa biochimica e ripresa locale di malattia, cosi come necessitano di un trattamento secondario. La positività dei margini chirurgici postero-laterali appare associata a una maggiore probabilità di ripresa di malattia, mentre il significato prognostico dei margini chirurgici positivi apicali rimane incerto (Yossepowitch et al, 2009). Trials clinici randomizzati controllati indicano chiaramente  che il trattamento radioterapico adiuvante migliora la percentuale di ripresa biochimica di malattia, riduce la progressione clinica e probabilmente migliora la sopravvivenza globale. Bisognerebbe definire se vi sono della differenze nel trattamento adiuvante radioterapico precoce o differito alla ripresa biochimica.

      Tabella 11: % Margini positivi dopo prostatectomia radicale open

Autore

Numero pazienti

Margini Oisitivi (%)

 

 

pT2

pT3

Open Radical Prostatectomy

Ward et al, 2004

7268

38 totale

 

Pettus et al, 2004

498

3

53

Han et al, 2004

9035

7

27

Swindle et al, 2005

1389

7

23

Karakiewicz et al, 2005

5831

27 totale

 

Simon et al, 2006

936

37 totale

 

Vis et al, 2006

281

18

40

Eastham et al, 2007

2242

7

22

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Descrizione punti chiave della tecnica chirurgica laparoscopica

 

 

                  Accesso addominale e configurazione dei trocars

 
   


L’accesso si esegue in modo extraperitoneale. Incisione di circa 15 mm circa 2 dita sotto l’ombelico, questo spazio sarà utilizzato per il posizionamento del tracar di Hasson. Incisione della fascia dei retti e dissezione dello spazio preperitoneale per via smussa utilizzando il dito indice, verso sinistra e verso destra, fino alla linea arcuata, in modo tale da scollare il più possibile il peritoneo dalla parete addominale. Dopo tale manovra si procede al posizionamento dei trocars in modalità digito guidata. Un trocar da 5 mm è posizionato a circa 2 dita dalla spina iliaca anteriore superiore sinistra; in modo simmetrico viene posizionato un trocar da 10 mm a destra. Sulla linea tra ombelico e trocar di destra, sulla linea pararettale destra,  si posiziona un trocar da 10 mm. L’ultimo trocar da 5 mm si posiziona sulla linea mediana a circa 2 dita dalla sinfisi pubica. I trocars da 5 mm sono utilizzati dal primo operatore; il trocar da 10 mm pararettale è utilizzato dallo strumentista con il retrattore; il rimanente trocar da 10 mm è utilizzato dal secondo operatore. La pressione di insufflazione è mantenuta a 13 mmHg.

 

Guadagno dello spazio del Retzius

 

Prima della dissezione della prostata, si mobilizzano le residue aderenze peritoneali, fino a visualizzare la vena iliaca esterna bilateralmente. Ove vi sia indicazione all’esecuzione della linfadenectomia, si esegue. Il grasso periprostatico viene rimosso dalla superficie anteriore della prostata e la vena dorsale superficiale viene coagulata con le pinze bipolari.

 

 
   

Isolamento e sezione del collo vescicale

 

Il collo vescicale si identifica dove le fibre dei legamenti puboprostatici si incrociano. La conferma di questo punto si ha trazionando il catetere e osservando il palloncino dello stesso. Utilizzando il bisturi armonico si disseca il piano di clivaggio tra prostata e collo vescicale, senza sezionare, fino ad individuare le vescicole seminali bilateralmente e isolando l’uretra. Sezione dell’uretra.

 

 
   

Dissezione delle vescicole seminali e dei deferenti

 

 

 
   


Sezione dei deferenti, trazione degli stessi ed isolamento delle vescicole seminali fino all’apice delle stesse utilizzando il bisturi armonico, avendo cura di coagulare i tre peduncoli vascolari che si trovano anteriormente, a livello dell’apice delle vescicole e posteriormente.

                 

 

 

Legatura del complesso venoso dorsale

 

 

 
   

Incisione della fascia endopelvica tra prostata e parete pelvica. Scollamento delle fibre dell’elevatore dell’ano dalla superficie della prostata. isolamento dei legamenti puboprostatici e sezione degli stessi. Legatura del complesso venoso dorsale con sutura 0 Vicryl.

Dissezione anterograda delle bandellette neuro vascolari

 

Le bandellette neuro vascolari sono aderenti al foglietto posteriore della Denonvilliers, qui si sviluppa il piano anatomico tra prostata e la fascia. Si sollevano le vescicole seminali e i deferenti e si individua il piano di dissezione, che si sviluppa lateralmente tra prostata e bandellette neuro vascolari e si procede in senso anterogrado o discendente verso l’apice prostatico. Così facendo si individuano i peduncoli vascolari che vengono clippati e sezionati a freddo.

 

 

 
   
 
   

Sezione del complesso venoso dorsale, dissezione dell’apice e sezione dell’uretra

 
   

Dopo la sezione con bisturi armonico del complesso venoso dorsale è visibile la parte anteriore della giunzione uretro-prostatica, che viene sezionata a freddo.  Le bandellette neurovascolari postero-laterali vengono identificate e mobilizzate dall’uretra, quindi si procede alla sezione della parte posteriore. A questo punto la ghiandola prostatica è completamente mobilizzata.

 

 
   

Anastomosi vescico-uretrale

 

Il piatto posteriore  dell’anastomosi è tipicamente il punto di più grande tensione. Pertanto l'assistente può applicare pressione al perineo per esporre meglio l'uretra posteriore. Questa manovra può ridurre la tensione del piatto posteriore dell'anastomosi durante la sutura.

Si utilizza una sutura continua a circa 6 punti, partendo dalle ore 4. L'anastomosi è testata riempendo la vescica con 150 mL di soluzione salina. Crepe visibili dell'anastomosi possono essere riparate con suture supplementari come necessario.

 

 
   
  1. Complicanze e conseguenze della prostatectomia radicale laparoscopica

 

Una descrizione accurata dell'incidenza e dei  tipi di complicanze è stata riportata dal gruppo di Montsouris (Guillonneau et al, 2002), dopo 567 LRPs consecutive in un periodo di 3 anni. Loro riportarono l’incidenza totale delle complicanze, l’incidenza delle complicanze maggiori e quella delle minori, rispettivamente del  17%, 4%, e 14.6%. La maggiorparte delle complicanze erano urologiche, la più comune era la deiscenza dell’anastomosi che si verificò in 57 pazienti (10%). Quasi tutte (95%) risolte con misure conservative e cateterizzazione prolungata. Il periodo medio di cateterizzazione era 5.8 giorni in questo studio e 4 giorni in un lavoro condotto da Nadu e colleghi (2001). La rimozione precoce del catetere era complicata da ritenzione  urinaria acuta, 10% dei casi (Nadu et al, 2001), suggerendo che, anche se fattibile, un periodo di cateterizzazione più lungo (almeno 7 giorni)  è consigliabile. Un altro lavoro ha riportato percentuali di complicanze tra il 4% ed il 12% (Salomon et al, 2004). 

Ileo postoperatorio (nelle procedure trans peritoneali) e sanguinamenti che  richiedevano trasfusioni erano le complicanze non urologiche più frequenti, con un’incidenza del  3.3% e  del 2.8%, rispettivamente. 

L’incidenza del danno rettale durante LRP varia dallo 0.7% al 2.4% (Katz, 2003 et al; Guillonneau et al, 2003; Gonzalgo et al, 2005). Si può verificare dopo la sezione dell'apice prostatico se la dissezione posteriore è incompleta e il retto rimane adeso alla superficie posteriore della prostata. Con la tecnica laparoscopica, l’incisione acuta e completa della fascia di Denonvilliers è necessaria dopo la dissezione delle vescicole seminali per permettere una mobilizzazione adeguata del retto. Un altro momento in cui è possibile lesionare il margine laterale del retto è la resezione ampia delle bandellette neurovascolari.

Se si sospetta un danno rettale, il retto dovrebbe essere ispezionato digitalmente. Il danno rettale va riparato in due strati seguiti dalla copertura con omento o grasso perirettale (Katz et al, 2003). Se è identificato e riparato come descritto, la colonstomia simultanea non è generalmente richiesta. La sede della  riparazione dovrebbe essere irrigata con soluzione antibiotica copiosa, e andrebbe impostata terapia antibiotica parenterale ad ampio spettro per coprire organismi gram negativi ed anaerobi;  alla fine dell'operazione andrebbe eseguita una dilatazione digitale dell'ano. 

Nella serie di Montsouris, l’incidenza di conversione a chirurgia aperta era del 1.2% e un reintervento fu richiesto nel 3.7% (Guillonneau et al, 2002). Le indicazioni per un reintervento includevano: danno intestinale, danno ureterale, emoperitoneo, danno dell’arteria epigastrica,  fistola urinario, e deiscenza della ferita. In un studio multi-istituzionale di LRP l’incidenza di conversione a procedura open fu del 1.9%. La maggior parte riportò conversioni accadute durante la prima esperienza chirurgica e con fattori legati alle caratteristiche dei pazienti, quali l'obesità e chirurgia pelvica precedente. La ragioni più comuni di conversione furono:  impossibilità a continuare la procedura, danno a strutture adiacenti e ipercapnia (Bhayani et al, 2004). 

Le stenosi dell’anastomosi postoperatorie sono poco comuni dopo LRP (0-3%) (Rassweiler et al, 2001; Turk et al, 2001; Guillonneau et al, 2002). Importante è la visualizzazione eccellente fornita dalla laparoscopia per eseguire un’anastomosi tra vescica e uretra mucosa-a-mucosa. Non c'è differenza tra tecnica a sutura continua o a punti staccati.

La  trombosi venosa profonda  clinicamente significativa è un evento infrequente dopo LRP (0.4%) (Guillonneau et al, 2002). Questo può essere attribuibile al non utilizzo di Trendelenburg, alla mancanza di compressione venosa come può accadere in chirurgia aperta dove si usa un sistema di retrattori-divaricatori autostatico, ed a una precoce deambulazione e ritorno alle normali attività del paziente. 

La maggior parte dei sanguinamenti che si verificano durante la prostatectomia radicale è di origine venosa, il tamponamento effettuato dal pneumoperitoneo aiuta a diminuire le  perdite ematiche in corso di LRP. Inoltre, tecniche che usano la dissezione anterograda della prostata sezionano il complesso venoso dorsale alla fine della procedura, così che  la fase della procedura col più alto potenziale di sanguinamento è riservata alla fine della stessa. Questi fattori, così come la eccellente visualizzazione laparoscopica, contribuiscono alle ridotte perdite ematiche riportate nelle varie casistiche in letteratura. Le perdite di sangue riportate di solito sono all’incirca di  alcune centinaia di millilitri (Guillonneau et al, 2001; Hoznek et al, 2002). La maggior parte dei lavori hanno dimostrato un calo significativo delle percentuali di emotrasfusioni nei pazienti sottoposti a LRP rispetto ai pazienti sottoposti a prostatectomia radicale open (Tewari et al, 2003; Ahlering et al, 2004). 

Il danno ureterale e l’ernia nel sito del trocar è relativamente raro ma è stato riportato (Gregori et al, 2003). Nessun morto è  stato riportato in letteratura.

 

Incontinenza Urinaria

La tecnica chirurgica è indubbiamente un fattore che contribuisce al recupero della continenza ( Smith, 2002). 

Con l’approccio laparoscopico, la visualizzazione dell'apice prostatico è ottimale. I ridotti sanguinamenti e  l’ingrandimento del campo operatorio permettono una dissezione precisa dell'apice prostatico con minimo trauma allo sfintere striato periuretrale e al diaframma genitourinario (Menon et al, 2004). Potenzialmente, un più rapido recupero della  continenza o migliori risultati a lungo termine possono essere ottenuti con la tecnica laparoscopica. Comunque, nessuno degli studi attualmente pubblicati permette conclusioni definitive, circa i migliori risultati della  continenza postoperatoria della tecnica laparoscopica rispetto alla tecnica open  (tabella 12) (Guillonneau et al, 2001; Hoznek et al, 2002; Salomon et al, 2004). 

 

 

 

 

 

Tabella 12:  % di continenza dopo prostatectomia radicale laparoscopica

Reference

N° pz

Età media (Years)

Metodo di valutazione

N° pad

Follow-up

% Continenza

Laparoscopic Radical Prostatectomy Series

Hoznek et al, 2001

200

64.8

Questionnaire

No pad

12 months

86%

Turk et al, 2001

125

59.9

Physician

0-1 pad

9 months

92%

Olsson et al, 2001

228

65.2

Questionnaire

No pad

12 months

78.4%

Salomon et al, 2002

235

63.8

Questionnaire

No pad

12 months

90%

Eden et al, 2002

100

62.2

Physician

No pad

12 months

90%

Guillonneau et al, 2002

550

NA

Physician

No pad

12 months

82.3%

Anastasiadis et al, 2003

230

64.1

Questionnaire

No pad

12 months

71.6%

Roumeguere et al, 2003

85

62.5

Questionnaire

No pad

12 months

80.7%

Stolzenburg et al, 2003

70

63.4

Physician

No pad

6 months

90%

Rassweiler et al, 2004

500

64

Questionnaire

No pad

12 months

83.6%

Rozet et al, 2005

600

NA

Questionnaire

No pad

12 months

84%

Stolzenburg et al, 2005

700

63.4

Questionnaire

No pad

12 months

92%

Rassweiler et al, 2006

5824

64

Questionnaire

No pad

12 months

84.9%

Goeman et al, 2006

550

62.4

Questionnaire

No pad

12 months

82.9%

 

 

 

 

 

 

Disfunzione erettile

La preservazione della  funzione erettile dopo prostatectomia radicale dipende dalla separazione precisa ed adeguata dei nervi cavernosi nelle bandellette neurovascolari dalla prostata (Walsh e Donker, 1982). Il corso anatomico di questi nervi è stato descritto ma può essere variabile. I principi e la dissezione anatomica per la conservazione dei nervi sono gli stessi per qualsiasi approccio chirurgico. È ancora incerto se l'immagine ingrandita del campo operativo della laparoscopia e la precisione degli strumenti chirurgici laparoscopici permetta la dissezione anatomicamente più accurata e meno traumatica delle bandellette neurovascolari, dando migliori risultati sul mantenimento della funzione erettile postoperatoria. Come per l’incontinenza, il confronto in letteratura è difficile (Salomon et al, 2004). Le  differenze nel metodo di assessment, la definizione di potenza (erezioni spontanee Vs rapporti sessuali) e le popolazioni di pazienti, complicano il confronto tra le varie casistiche. In somma, l'uso delle terapie di supporto come gli inibitori delle 5-fosfodiesterasi o iniezioni di sostanze vasoattive può influenzare sostanzialmente i risultati. In letteratura sono riportati buoni risultati di funzione erettile dopo prostatectomia radicale laparoscopica (Guillonneau et al, 2002; Menon et al, 2003; Su et al, 2004) (tabella 13).  Comunque, nessuno dei dati pubblicati permette conclusioni definitive sulla migliore metodica per il mantenimento della funzione erettile, confrontando la tecnica laparoscopica con la tecnica open. Ciononostante, evitare  fonti di energia durante la dissezione delle bandellette neuro vascolari, la preservazione in blocco delle bandellette neurovascolari e l’esecuzione di una meticolosa dissezione interfasciale dei nervi cavernosi sembrano essere i punti critici per ottimizzare il  recupero postoperatorio della  potenza (Ong et al, 2004; Su et al, 2004).

 

 

 

 

 

 

Tabella   13:  % di potenza dopo prostatectomia radicale laparoscopica nerve-sparing

Reference

N° pz

Evaluable Patients

Età media (Years)

% Pz ricevono BNS[*]

Metodo di valutazione

Definizione usata

Follow-up

% Potenza

Laparoscopic Radical Prostatectomy Series

Hoznek et al, 2001

200

82

64.8

32

Questionnaire

Intercourse

12 month

46%

Turk et al, 2001

125

44

59.9

11

Physician

Intercourse

12 months

59%

Salomon et al, 2002

235

43

63.8

39.5

Questionnaire

Intercourse

12 months

58.8%

Eden et al, 2002

100

100

62.2

58

Physician

Erections

12 months

62%

Guillonneau et al, 2002

550

47

NA

NA

Physician

Intercourse

1.5 months

66%

Katz et al, 2002

232

143

63

44

Questionnaire

Erections

12 months

87.5%

Anastasiadis et al, 2003

230

230

64.1

33.5

Questionnaire

Intercourse

12 months

53%

Stolzenburg et al, 2003

70

40

63.4

7.5

Physician

Intercourse

12 months

66.7%

Roumeguere et al, 2003

85

85

62.5

30.9

Questionnaire

Intercourse

12 months

65.3%

Su et al, 2004

177

177

57.8

51.4

Questionnaire

Intercourse

12 months

76%

Rassweiler et al, 2004

500

109

67

37.6

Questionnaire

Intercourse

12 months

67%

Rozet et al, 2005

600

231

NA

60.2

Questionnaire

Intercourse

6 months

64%

Stolzenburg et al, 2005

700

185

63.4

10.1

Questionnaire

Intercourse

6 months

47%

Wagner et al, 2006

220

220

58

66

Questionnaire

Intercourse

12 months

72%

Rassweiler et al, 2006

5824

NA

64

NA

Questionnaire

Intercourse

12 months

52.5%

Goeman et al, 2006

550

NA

62.4

NA

Questionnaire

Intercourse

12 months

56%

 

*

BNS, bilateral nerve sparing surgery.

IEEF-5, International Index of Erectile Function.

 

 

Risultati oncologici

L’obiettivo della  prostatectomia radicale è  la rimozione chirurgica e completa della prostata, della fascia che la riveste così come delle vescicole seminali. Poichè la maggior parte degli adenocarcinomi della prostata insorgono nella zona periferica e si avvicinano alla capsula, la tecnica chirurgica può influenzare i risultati oncologici. Con una  dissezione chirurgica  corretta si dovrebbero ottenere margini chirurgici negativi in presenza di malattie pT2. Gli sforzi di evitare l’incontinenza urinaria o la disfunzione erettile sezionando troppo  vicino all'apice prostatico o l'aspetto  posterolaterale della prostata possono compromettere i margini, nonostante l'approccio chirurgico. Ancora una volta, paragonare le percentuali di margini positivi nei lavori riportati in letteratura è difficile a causa dei differenti criteri di  selezione dei pazienti. Il  metodo  dell'analisi  patologica del campione chirurgico può essere estremamente influente nella stima dello status del margine chirurgico. In più lavori codotti su prostatectomie radicali laparoscopiche, le percentuali dei margini positivi decrescono in rapporto  all’aumento dell’esperienza con la tecnica chirurgica  (tabella 14) (Ahlering et al, 2004; Al di et di Salomon, 2004; Rassweiler et al, 2005). Questo implica che l'inesperienza chirurgica determina molti margini positivi. Qualche volta, questo può essere dovuto alla difficoltà nell'identificare lo spazio anatomico  corretto, per la dissezione tra il collo della vescica e la base della prostata. Il punto più frequente di  margini positivi è l'apice di prostatico (Touijer et al, 2005). La inadeguata rimozione di tessuto prostatico a livello dell'apice, nel tentativo di evitare l'incontinenza può dare luogo anche a margini positivi con tumori che non violano patologicamente la capsula (pT2).

Il principale fattore che determina la percentuale di margini positivi nei lavori presenti in letteratura è la selezione del paziente. Come discusso in precedenza, il metodo dell'analisi di patologica è anch’esso influente. Una più accurata tecnica di paragone è l’analisi dei risultati patologici nelle malattie pT2, dove i margini chirurgici positivi implicano una violazione chirurgica della capsula. Paragoni tra lavori intra-istituzionali hanno mostrato una percentuale ridotta di margini positivi con l’approcci  laparoscopico rispetto alla tecnica open. Comunque, il confronto tra chirurghi esperti non ha mostrato nessun vantaggio definitivo tra un approccio chirurgico e l'altro, in termini di  margini chirurgici (Marrone et al, 2003; Khan e Partin, 2005). 

Riguardo alla ricorrenza biochimica, Guillonneau e colleghi (2003) riportarono i loro risultati oncologici su 1000 LRPs consecutive eseguite in  un periodo di 4 anni, con un follow-up medio di 12 mesi. La loro  percentuale di sopravvivenza libera da progressione biochimica era 90.5% a 3 anni. Stratificando per stadio patologico, le percentuali erano 92% per pT2a, 88% per pT2b,  77% per pT3a  e 44% per pT3b.

     Tabella 14: % Margini positivi prostatectomia radicale laparoscopica

Author

Number of Patients

Positive Margins (%)

 

 

pT2

pT3

Laparoscopic Radical Prostatectomy

Hoznek et al, 2002

250

16.4

39.3

Guillonneau et al, 2003

1000

15.5

31.1

Roumeguere et al, 2003

85

18.4

45.7

Su et al, 2004

177

4.7

44.8

Rassweiler et al, 2005

500

7.4

31.8

Rozet et al, 2005

600

14.6

26.2

Stolzenburg et al, 2005

700

10.8

31.2

Rassweiler et al, 2006

5824

10.6

32.7 (pT3a)

 

 

 

56.2 (pT3b)

Goeman et al, 2006

550

17.9

44.8

 

 

 

 

 

 

 

 

 6. OBIETTIVI E DESCRIZIONE DELLO STUDIO

Lo studio ha come obiettivo il confronto tra la tecnica di prostatectomia radicale laparoscopica preperitoneale eseguita da singolo chirurgo, dopo la standardizzazione della procedura,  e la tecnica di prostatectomia radicale retropubica a cielo aperto eseguita da singolo chirurgo.

La valutazione è stata eseguita in modo retrospettivo per entrambe le tecniche e sono stati considerati come parametri di confronto i risultati funzionali in termini di disfunzione erettile ed incontinenza, e i risultati oncologici in termini di margini chirurgici. Infine, sono state valutate le perdite ematiche intraoperatorie, la degenza post operatoria e il dolore perioperatorio.

 

 

7. MATERIALI E METODI

 

 

La nostra esperienza laparoscopica è iniziata nel marzo 2007. La standardizzazione della tecnica è stata ottenuta dopo i primi 20 casi, nei quali il tasso di conversione è stato elevato (circa il 30%), la durata della procedura media era di circa 300 minuti, la quantità media del sanguinamento era di circa 1200 ml.

Quindi, dal gennaio 2008 al giugno 2009 sono state eseguite 80 prostatectomie radicali laparoscopiche con approccio preperitoneale, secondo la tecnica standardizzata dal Dott. Gaetano Grosso, eseguite da una singola equipe di chirurghi, che vedeva come primo operatore un chirurgo di buona esperienza in tecnica open e minima esperienza in tecnica laparoscopica. L’età media dei pazienti era 66.8 aa (52-76 aa). La stadiazione preoperatoria mostrava 47 (58%) pazienti con cT1c, 31 (39%) con stadio clinico cT2a e 2 (3%) cT2b. Il Gleason Score preoperatorio era ≤6 in 44 (55%) pazienti, mentre ≥ 7 nei restanti 36 (45%). La media del PSA totale preoperatorio era 12 ng/ml (2.5-54 ng/ml) (tabella 15). È stata eseguita una chirurgia con intento nerve sparing in 32 casi, tutti con punteggio IIEF > 20 preoperatorio.  In tutti i pazienti è stata eseguita una tecnica bladder neck sparing. L’anastomosi vescico-uretrale è stata condotta sempre con tecnica continua con guida su Benniquet. La durata dell’intervento veniva calcolata dall’incisione cutanea alla chiusura delle ferite chirurgiche.

Nello stesso periodo sono state eseguite 92 prostatectomie radicali retropubiche open con tecnica di Walsh, condotte da un chirurgo esperto. L’età media dei pazienti era 64.2 aa (49-75 aa). La stadiazione preoperatoria mostrava 2 (2%) pazienti con cT1b, 51 (55.5%) pazienti con cT1c, 34 (37%) con stadio clinico cT2a e 5 (5.5%) cT2b.    Il Gleason Score preoperatorio era ≤ 6 in 49 (53%) pazienti, mentre ≥ 7 nei restanti 43 (47%). La media del PSA totale preoperatorio era 11 ng/ml (1.8-47 ng/ml) (tabella 15). È stata eseguita una chirurgia con intento nerve sparing in 36 casi, tutti con punteggio IIEF > 20 preoperatorio. In tutti i pazienti è stata eseguita una tecnica bladder neck sparing. L’anastomosi vescico uretrale è stata condotta sempre con tecnica a punti staccati su guida di catetere Foley. La durata dell’intervento veniva misurata dal momento dell’incisione fino alla sintesi completa della parete. In tutti e due i gruppi è stato posizionato un singolo drenaggio pelvico peri-anastomotico.

Tabella 15: Caratteristiche  preoperatorie dei gruppi RRP e LRP

(numero pz)

Gruppo RRP (n92)

Gruppo LRP (n80)

Età media

 (aa)

64.2

66.8

PSA preop

media(ng/ml)

11

12

cGS ≤ 6 (%)

49 (53)

44 (55)

cGS ≥ 7 (%)

43 (47)

36 (45)

cT1b (%)

2 (2)

-

cT1c (%)

51 (55.5)

47 (58)

cT2a (%)

34 (37)

31 (39)

cT2b (%)

5 (5,5)

2 (3)

 

PROCEDURE CHIRURGICHE. La tecnica open è stata condotta con approccio retropubico retrogrado (ascendente); mentre la tecnica  laparoscopica è stata condotta con appoccio preperitoneale anterogrado (discendente), utilizzando un trocar ottico e quattro trocars operatori di cui uno 5 mm x 100 mm, uno 5 mm x 75 mm e due da 12 mm x 100 mm. La tecnica nerve sparing è stata utilizzata quando indicato e quando le condizioni anatomiche intraoperatorie lo consentivano.

PERIODO POST-OPERATORIO. In assenza di controindicazioni assolute,  tutti i pazienti venivano mobilizzati in prima giornata postoperatoria. I pazienti che avevano subito una procedura open, in prima giornata postoperatoria ricevevano una dieta liquida, mentro coloro i quali avevano subito un approccio laparoscopico ricevevano una dieta semiliquida.     

L’analgesia postoperatoria era somministrata, in entrambi i gruppi, attraverso l’utilizzo di elastomero periferico (contenente morfina ed analgesici del gruppo FANS) che veniva rimosso in seconda giornata postoperatoria nel gruppo open, in prima giornata postoperatoria nel gruppo laparoscopico; quindi veniva impostata terapia analgesica e.v. al bisogno con ketorolac 30 mg. Il drenaggio veniva rimosso in quarta giornata postoperatoria nel gruppo open, in terza giornata postoperatoria nel gruppo laparoscopico. La durata media della degenza post operatoria era di quattro giorni nel gruppo open e tre-quattro giorni nel gruppo laparoscopico.  La rimozione del catetere vescicale avveniva, senza l’esecuzione di una cistografia, mediamente in decima giornata postoperatoria nel gruppo open,  in ottava giornata postoperatoria nel gruppo laparoscopico.

FOLLOW-UP. I pazienti venivano seguiti con un follow-up trimestrale previa esecuzione di PSA totale, somministrazione di questionario IIEF. Tutti i pz sottoposti a procedura nerve sparing, eseguivano riabilitazione con PGE-2 nel periodo postoperatorio nei primi 3 mesi e successivamente, a seconda delle condizioni cliniche del paziente e della compliance dello stesso, con somministrazione di inibitori delle 5-fosfodiesterasi.

ANALISI STATISTICA. Per il confronto dei risultati tra i due gruppi è stato utilizzato il  chi-quadro test, per campioni indipendenti, con p < 0.05 considerato statisticamente significativo.

 

8. RISULTATI

 

 

  1. DATI OPERATORI E DECORSO POST-OPERATORIO (tabella 16)

8.1.1 TEMPI CHIRURGICI

Nell’esperienza di questo gruppo non si rinvengono differenze statisticamente significative tra la durata media della procedura open verso la procedura laparoscopica. Analizzando retrospettivamente i tempi di chirurgia open nel periodo esaminato, questi sono pressoché stabili con una media di 170 minuti (130-210 min). Per la procedura laparoscopica, invece, abbiamo assistito ad un decremento dei tempi chirurgici, verosimilmente legato alla learning curve, con tempi medi attuali di 180 minuti (150-280). Nelle prime fasi della learning curve abbiamo stabilito la durata massima della procedura a 300 minuti, oltre la quale non procedere per evitare complicanze quali ipercapnia e disturbi idroelettrolitici. Il tasso di conversione legato a tale regola è stato basso, 2 casi su 20. Nel periodo successivo della learning curve, il tasso di conversione si è notevolmente ridotto, passando dal 30%  al 2% (2 casi: uno dovuto al sanguinamento del complesso venoso dorsale del pene e l’altro legato alla presenza di processi aderenziali post-infiammatori).

 

8.1.2 COMPLICANZE INTRAOPERATORIE

Analizzando i dati relativi alle complicanze intraoperatorie emerge un unico caso di lesione del retto risolta   laparoscopicamente con raffia in  duplice strato, nel gruppo laparoscopico, con una  percentuale  1.2%. Nel gruppo open si è verificato un caso di lesione ureterale  che ha richiesto una ureterocistoneostomia (1%).

 In termini di sanguinamento intraoperatorio non vi sono differenze statisticamente significative, con una media di 200 ml nel gruppo open e 300 ml nel gruppo laparoscopico. Stratificando i dati notiamo che nel gruppo laparoscopico, nelle prime fasi della learning curve le perdite ematiche erano stabilmente al di sopra dei 500 ml. Negli ultimi 20 casi, il sanguinamento è costantemente stimato al di sotto dei 200 ml, tranne per le procedure intenzionalmente nerve sparing in cui è risultato al di sopra della media di 300 ml.

Il tasso di trasfusione intra e/o post operatoria è stato paragonabile per entrambe le tecniche, con una percentuale pari al 5%.  Il valore di emoglobina in tali pazienti era inferiore a 10 g/dl.

 

8.1.3 DECORSO POST-OPERATORIO

L’analgesia veniva condotta per entrambi i gruppi sia nelle ultime fasi della procedura chirurgica mediante infusione in bolo di morfina, sia nell’immediato post-operatorio attraverso l’utilizzo di pompe elastomere contenenti morfina ed analgesici del gruppo FANS.  Nel gruppo laparoscopico, per 3 pazienti vi erano controindicazioni assolute all’utilizzo di FANS e morfina. Per tale condizione è stata impostata terapia al bisogno con paracetamolo. Abbiamo osservato in questi una percentuale di richiesta prossima allo 0%.  Pertanto nel gruppo laparoscopico rispetto al gruppo open,  è stato ridotto il tempo di infusione attraverso elastomero da 48 a 24 ore post-operatorie. Non si sono osservate variazioni della richiesta di terapia analgesica al bisogno, comunque impostata per tutti i pazienti di entrambi i gruppi mediante somministrazione di Ketorolac 30 mg. Nel gruppo open, dopo la sospensione della terapia infusionale continua, la percentuale  di terapia anlgesica a richiesta è risultata essere del 60% contro il 20% del gruppo laparoscopico, differenza  risultata statisticamente significativa (p<0.05).

In termini di degenza media post-operatoria, la precoce mobilizzazione del paziente sottoposto a procedura laparoscopica, accompagnata ad una riduzione del dolore riferito, ne hanno permesso la dimissione in terza giornata post-operatoria. Anche  nel gruppo open, la precoce mobilizzazione del paziente, legata ad una ridotta sintomatologia dolorosa per una incisione chirurgica di circa 10 cm, ne ha permesso la dimissione in quarta giornata post-operatoria.

In entambi i gruppi, al termine della anastomosi vescico-uretrale è stato posizionato un drenaggio pelvico tipo blake-drain 19 Fr, la  cui rimozione è avvenuta mediamente in terza giornata post-operatoria nel gruppo laparoscopico e in quarta giornata  nel gruppo open.

Il catetere vescicale, tipo Foley 20 Fr, veniva posizionato durante l’anastomosi vescico-uretrale e mantenuto in situ nel gruppo open mediamente 10 giorni, mentre nel gruppo laparoscopico mediamente 8 giorni. In nessun caso è stata eseguita cistografia retrograda. Solo in alcuni casi il mantenimento del catetere è stato prolungato di circa 5 giorni rispetto ai tempi medi, senza differenze statisticamente significative tra i due gruppi. La percentuale di deiscenza dell’anastomosi è stata bassa in entrambi i gruppi (1 nel gruppo open Vs 3 nel gruppo laparoscopico), risolte in modo conservativo. In un solo caso del gruppo laparoscopico è stato necessario il riconfezionamento della anastomosi vescico-uretrale in quinta giornata post-operatoria.

Nell’ambito del decorso post-operatorio, le restanti complicanze emerse sono risultate essere la trombosi venosa profonda in 2 pazienti del gruppo open, un caso di embolia polmonare massiva che ha portato al decesso di un paziente del gruppo open, un caso di ipercapnia con lievi disturbi neurologici  in prima giornata post-operatoria nel gruppo laparoscopico risolta con ossigeno terapia. La percentuale di stenosi dell’anastomosi vescico-uretrale è stata lievemente superiore nel gruppo open  4 % (4/92), rispetto al gruppo laparoscopico 1.2% (solo 1 caso).   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella 16: Dati operatori e decorso post-operatorio

 

Gruppo

open

Gruppo laparoscopico

Tempi operatori medi (min)

170 (130-210)

180 (150-280)

% Conversione

-

2.5 (2 casi)

Complicanze introperatorie (%)

1 (1%)

1 (1.2%)

Perdite ematiche medie

200 (100-800)

300 (100-1000)

% Trasfusioni

5

5

% Terapia analgesica al bisogno      *

60 *

20 *

Degenza media post-operatoria (gg)

4.2 (4-7)

3.3 (3-9)

Rimozione drenaggio

(media giornata post-opertoria)

4

3

Rimozione catetere

(media giornata post-opertoria)

10 (9-15)

8 (7-13)

Deiscenza anastomosi

1

3

Reinterventi precoci

-

1

Trombosi venosa profonda

2

-

Embolia polmonare

1

-

Ipercapnia

0

1

Stenosi anastomosi vescico-uretrale (%)

4 (4.3%)

1 (1.2%)

Morte

1

-

* Differenza statisticamente significativa (p<0.05)

8.2 RISULTATI ONCOLOGICI

Nel gruppo open lo stadio patologico era così suddiviso: 10 pT2a, 12 pT2b, 45 pT2c, 14 pT3a, 11 pT3b;  5  pazienti (5.4%)  mostravano linfonodi positivi (N+) e 24 pazienti (26%) risultavano avere margini positivi (R+); il Gleason score patologico mostrava 38 ≤ 6 e 54 ≥ 7. Nel gruppo laparoscopico la stratificazione dello stadio patologico mostrava: 7 pT2a, 11 pT2b, 38 pT2c, 15 pT3a, 9 pT3b;  1 paziente N+ (<1%) e 23 pazienti R+ (28.7%); il Gleason score patologico mostrava 38 ≤ 6 e 42 ≥ 7 (tabella 17). Quindi, nell’ambito dei margini positivi, non vi erano differenze statisticamente significative tra i due gruppi.

Stratificando i pazienti con margini positivi per stadio patologico si metteva in evidenza che nel gruppo open i pT2 R+ erano 16 (23.8%) e i pT3 R+ erano 8 (32%), mentre nel gruppo laparoscopico i pT2 R+ erano 12 (21.4%) e i pT3 R+ 11 (45%) .

Considerando le procedure nerve sparing eseguite, 36 (39%) nel gruppo open e 32 (40%) nel gruppo laparoscopico, e stratificando queste per margini positivi, si metteva in evidenza che nel gruppo open il 25% (9/36) mostravano margini positivi, mentre nel gruppo laparoscopico  il 22% (7/32)  (tabella 17).

Il follow-up medio era di 23 mesi nel gruppo open e di 22 mesi nel gruppo laparoscopico con un range tra 30 e 12 mesi (tabella 17). L’esiguo tempo di follow-up non permette una stima dei dati sulla ripresa biochimica di malattia e non consente stime sulla sopravvivenza globale e cancro specifica.

 

 

Tabella 17: Dati oncologici

 

Gruppo

open

Gruppo laparoscopico

Mesi follow-up medio

23 (30-12)

22 (30-12)

pGS ≤ 6

38

38

pGS ≥ 7

54

42

pT2a

10 (10.8%)

7 (8.8%)

pT2b

12 (13%)

11 (13.7%)

pT2c

45 (49%)

38 (47.5%)

pT3a

14 (15.3%)

15 (18.7%)

pT3b

11 (11.9%)

9 (11.3%)

N+

5 (5.4%)

1(<1%)

R+

24 (26%)

23 (28.7)

pT2 R+

16 (23.8%)

12 (21.4%)

pT3 R+*

8 (32%)*

11 (45%)*

R+ in pz sottoposti a nerve-sparing

25% (9/36)

22% (7/32)

* Differenza statisticamente significativa (p<0.05)

 

 

 

 

 

8.3 RISULTATI FUNZIONALI

                  8.3.1 INCONTINENZA URINARIA

Indipendentemente dall’approccio chirurgico, in tutti i casi descritti è stata eseguita una tecnica bladder neck sparing. Nella tecnica open è stata eseguita l’eversione della mucosa del collo vescicale.

Per la valutazione dei risultati abbiamo considerato l’utilizzo di presidi per l’incontinenza, concentrando l’attenzione sul numero totale utilizzato giornalmente dal paziente prostatectomizzato. Abbiamo così definito come incontinenza da sforzo di grado lieve quella che costringe all’utilizzo di 0-1 pad/die, incontinenza moderata 2 pads/die, severa ≥ 3.

I pazienti venivano sottoposti ad intervista a 3, 6, 9 e 12 mesi dalla procedura chirurgica, in occasione dei periodici controlli per il follow-up oncologico.

I dati emersi sono i seguenti: nell’approccio open la percentuale totale di pazienti incontinenti a 12 mesi è risultata del 13% (11/92) e stratificandoli per tipo di incontinenza: 7 (64%) pazienti riferivano incontinenza da sforzo lieve, 3 (27%) incontinenza moderata e 1 (9%) severa (tabella 18). Ne consegue che la percentuale totale di pazienti continenti dopo prostatectomia radicale open a 12 mesi è stata del 87% (81/92); in questi abbiamo considerato i tempi di recupero: in 4 casi si è avuto il recupero completo alla rimozione del catetere (5%), in 44 casi a tre mesi dall’intervento chirurgico (54%), a sei mesi il 32% (26/81), a nove mesi il 9% (7/81) (tabella 18).

Nel gruppo laparoscopico il 16% (13/80) riferivano incontinenza urinaria da sforzo a 12 mesi dalla procedura chirurgica (tabella 18). Stratificandoli per tipo di incontinenza abbiamo osservato: 8 casi di incontinenza lieve (61.5%), 4 moderata(30.5%), 1 severa (8%) (tabella 18). Ne consegue che l’84% dei pazienti è risultata continente. Considerando i tempi di recupero della continenza: in 7 casi si è avuto il recupero completo alla rimozione del catetere (10.5%), in 41 casi a tre mesi dall’intervento chirurgico (61%), a sei mesi il 18% (12/67), a nove mesi il 10.5% (7/67) (tabella 18).

Confrontando i dati tra i due gruppi, si ossrevava che vi era una differenza statisticamente significativa (p<0.05), a favore del gruppo laparoscopico, sul recupero della continenza precoce (tabella 18).

 

Tabella 18: Risultati Incontinenza Urinaria

 

Gruppo

open

Gruppo laparoscopico

% incontinenza a 12 mesi

13% (11/92)

16%(13/80)

pz con incont. lieve

7 (64%)

8 (61.5%)

pz con incont. moderata

3 (27%)

4 (30.5%)

pz con incont. severa

1 (9%)

1 (8%)

% continenza rimoz. catet.*

5% (4/81)*

10.5%(7/67)*

% continenza a 3 mesi

54% (44/81)

61% (41/67)

% continenza a 6 mesi

32%(26/81)

18% (12/67)

% continenza a 9 mesi

9% (7/81)

10.5%(7/67)

* Differenza statisticamente significativa (p<0.05)

8.3.2 DISFUNZIONE ERETTILE

Il principale requisito per l’esecuzione della prostatectomia radicale nerve sparing è stato lo stadio clinico della malattia, associato al PSA preoperatorio e al punteggio IIEF-5.

Tutti i pazienti trattati con tecnica intenzionalmente nerve sparing hanno eseguito riabilitazione cavernosa con PGE-2, due volte a settimana per tre mesi; se in questo periodo mostravano erezioni spontanee, proseguivano la riabilitazione con inibitori delle 5-fosfodiesterasi per tre mesi.

Il follow-up andrologico prevedeva la somministrazione di questionario IIEF-5 a 3, 6, 9 e 12 mesi. Veniva considerato come valore limite di disfunzione erettile un punteggio IIEF-5 < 20.

Sono state eseguite con tecnica open 36 procedure intenzionalmente nerve sparing, con tecnica secondo Walsh, di cui 20 monolaterali e 16 bilaterali, in pazienti con età media di 54 anni (49-67) (tabella 19). La percentuale globale di disfunzione erettile a 12 mesi è stata del 75% (69/92), mentre nei pazienti sottoposti a procedura nerve sparing è stata del 58% (21/36) (tabella 19). Stratificando i dati per mono o bilateralità dell’approccio chirurgico possiamo affermare che la percentuale di disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale nerve sparing bilaterale è  stata del 43.7% (7/16), mentre con la tecnica monolaterale è stata del 70% (14/20) (tabella 19).

La prostatectomia radicale nerve sparing laparoscopica è stata eseguita con incisioni a freddo dei peduncoli vascolari della prostata, previa applicazione di clips tipo Hem-o-lock.

La percentuale globale di disfunzione erettile a 12 mesi è stata del 70% (56/80). Sono state eseguite 32 procedure intenzionalmente nerve sparing, di queste 18 monolaterali e 14 bilaterali (tabella 19). La percentuale di disfunzione erettile nei pazienti sottoposti a procedura nerve sparing è stata del 50% (16/32). Stratificando i dati per mono o bilateralità della tecnica nerve sparing possiamo affermare che  la percentuale di disfunzione erettile è stata del 28% (4/14) nel gruppo bilaterale, del 66% (12/18) nel gruppo monolaterale (tabella 19). Nell’ambito di ciascun gruppo, confrontando le percentuali di disfunzione erettile globale e le percentuali di disfunzione erettile nelle procedure nerve sparing, si osserva che vi è una differenza statisticamente significativa (p<0.05), così come una differenza statisticamente significativa (p<0.05) si evidenzia anche confrontando i due gruppi per quel che riguarda la percentuale di disfunzione erettile nelle procedure nerve sparing bilaterali (tabella 19).

Tabella 19: Risultati Disfunzione Erettile

 

Gruppo

open

Gruppo laparoscopico

Procedure NS

36

NSB      16

NSM     20

32

  NSB      16

  NSM     20

% DE a 12 mesi

75% (62/92)

70% (56/80)

% DE  procedure NS

58% (21/36)

50% (16/32)

% DE  procedure NSB*

43.7% (7/16)*

28% (4/14)*

% DE  procedure NSM

70% (14/20)

66%(12/18)

* Differenza statisticamente significativa (p<0.05)

DE=Disfunzione Erettile; NS=Nerve Sparing; NSB=Nerve Sparing Bilaterale; NSM=Nerve Sparing Monolaterale

 

9. DISCUSSIONE

Il nostro è uno studio retrospettivo di confronto tra due approcci chirurgici alla prostatectomia radicale. In letteratura esistono poche valutazioni prospettiche. Riteniamo che il disegno di uno studio concentrato sulla omogeneità dei campioni e sulla casualità dell’approccio chirurgico, possa essere utile per un vero confronto anche con approcci tecnologicamente più avanzati (robotica), considerando, comunque, che la diversa metodologia delle tecniche, inevitabilmente porti ad avere alcuni bias già nella costituzione dei gruppi di studio.

Infatti la controindicazione all’utilizzo di tecniche minivasive, a nostro parere, rappresenta già il primo limite ad uno studio prospettico comparativo con la tecnica open, mentre riteniamo possibile un lavoro di confronto tra tecnica laparoscopica e tecnica robot assistita.

Abbiamo esaminato i dati basandoci sui principali lavori comparativi presenti in letteratura.

 

9.1 DATI OPERATORI E DECORSO POST-OPERATORIO

I nostri risultati si dimostrano sovrapponibili a quelli presenti in letteratura sia per l’approccio open che laparoscopico, in termini di tempi chirurgici, complicanze intraoperatorie e decorso post operatorio. Riteniamo che la variabilità della durata dell’atto chirurgico laparoscopico fino a 300 minuti sia legata alla learning curve. Corretta è apparsa la strategia di blocco della procedura dopo tale periodo, anche se nella nostra casistica il tasso di conversione legato a tale regola è molto basso (10%). Il tutoraggio nelle fasi iniziali della learning curve è risultato utile proprio per scongiurare l’allungamento dei tempi chirurgici.

Sostanziale differenza la si è trovata confrontando i nostri dati con quelli della letteratura per il sanguinamento intraoperatorio. Infatti pur non essendoci differenze tra i nostri due gruppi, le perdite ematiche della tecnica open sono risultate decisamente al di sotto della media riportata in letteratura. Il gruppo di Catalona (Lepor et al, 2001), riporta un sanguinamento medio di circa 800 ml, valore in media con altri gruppi di studio. Riteniamo che le ridotte perdite ematiche medie intraoperatorie nella nostra esperienza (200 ml), siano legate al fatto che la nostra casistica prende in considerazione le procedure eseguite da un unico chirurgo esperto, a differenza di tutti i lavori in letteratura che riportano i risultati di una equipe chirurgica.

Nel gruppo laparoscopico l’approccio intenzionalmente nerve sparing ha portato in media un sanguinamento al di sopra dei 300 ml, legato secondo il nostro parere, all’impossibilità di utilizzare fonti di energia per la coagulazione. Questo viene dimostrato ampiamente nell’approccio non nerve sparing in cui abbiamo utilizzato il bisturi ultrasonico ed energia bipolare con riduzione delle perdite ematiche medie a valori di 300 ml. Riteniamo, inoltre, che la precoce legatura del complesso venoso dorsale del pene e l’approccio anterogrado laparoscopico possano ridurre il sanguinamento intraoperatorio. Abbiamo osservato, nonostante l’esiguo campione esaminato, medie sovrapponibili a quelle presenti in letteratura (Guilloneau et al, 2002; Stolzenburg et al, 2005; Rassweiler et al, 2006).

In termini di dolore post operatorio i nostri dati sono risultati in linea con quelli della letteratura, ad eccezione del gruppo open in cui la percentuale di terapia analgesica a richiesta è risultata inferiore a quella riportata in letteratura. A nostro parere una ferita laparotomica inferiore ai 10 cm, associata ad una precoce mobilizzazione del paziente, influiscono sulla riduzione del dolore post operatorio. Infatti nei pochi casi di pazienti obesi sottoposti a prostatectomia radicale open, la ferita chirurgica più ampia, correlava con un maggiore utilizzo di terapia analgesica al bisogno. Nel nostro lavoro abbiamo osservato una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi (open 60% Vs laparo 20%) in termini di terapia analgesica a richiesta. Riteniamo che i dati ottenuti siano sufficienti per poter affermare che la tecnica laparoscopica ha un notevole vantaggio rispetto alla tecnica open in termini di dolore post operatorio.

 

9.2 RISULTATI ONCOLOGICI

L’unica variabile che abbiamo considerato per la valutazione dei risultati oncologici è stata la percentuale di margini chirurgici positivi.  L’esiguo follow-up medio (open 23 mesi Vs laparo 22 mesi) non ha consentito l’analisi dei risultati sulla ripresa biochimica e sulla sopravvivenza globale e/o cancro-specifica.

Il valore assoluto di margini chirurgici positivi nel gruppo laparoscopico del 28.7% è pressocchè paragonabile ai dati presenti in letteratura (Rassweiler et al, 2005; Stolzemburg et al, 2005; Paul et al, 2010), anche se vi sono alcuni studi in cui tale percentuale si abbassa al di sotto del 15%, ma con un piccolo campione rispetto alla media degli altri lavori. Riteniamo che nonostante il nostro campione sia esiguo e quindi faccia riferimento inevitabilmente ad una casistica che comprende anche le prime procedure della learning curve,  i risultati ottenuti  possono essere considerati soddisfacienti. Un campione più ampio potrà dare in futuro risultati ancora più vantaggiosi.

Nella stratificazione per stadio patologico abbiamo osservato percentuali di margini positivi paragonabili a quelle presenti in letteratura sia per i pT2 che per i pT3.

Nel gruppo open la percentuale assoluta di margini positivi è perfettamente in media con la letteratura (11-37%) (Han et al, 2001; Chun et al, 2006), così come dopo stratificazione per stadio patologico.

Nel confronto tra le due tecniche non abbiamo osservato differenze statisticamente significative tra i due gruppi  ad eccezione della percentuale di margini positivi dei pT3 (open 30% Vs laparo 45%; p<0.05). Considerando l’omogeneità del campione in studio riteniamo che tale differenza statisticamente significativa, sia legata all’esperienza del senior surgeon che ha eseguito le procedure open.

Interessante è risultata la percentuale globale di margini chirurgici positivi nei pazienti sottoposti a nerve sparing; questa è risulatata più bassa nel gruppo laparoscopico rispetto al gruppo open, in linea con la letteratura. Riteniamo che la migliore visualizzazione laparoscopica dei piani tra fascio neuro-vascolare e faccia laterale della prostata, e la procedura anterograda siano importanti per l’ottenimento di questo risultato.

9.3 INCONTINENZA URINARIA

Studi presenti in letteratura dimostrano che uno dei vantaggi principali dell’approccio laparoscopico è rappresentato dalla migliore visione del tratto uretrale preprostatico. Infatti la dissezione apicale accurata della laparoscopia permette di preservare una quota di tessuto uretrale superiore a 1.5 cm. La percentuale di incontinenza a 12 mesi negli studi multicentrici è del 10%, a fronte di valori più alti per l’approccio open. Dal nostro studio emerge che non vi sono differenze tra i due approcci in termini di percentuale globale di incontinenza. Nella stratificazione dei dati per tempi di recupero, abbiamo osservato i vantaggi della laparoscopia a breve termine.

Infatti la percentuale di pazienti con recupero completo della continenza urinaria alla rimozione del catetere è risultata il doppio rispetto al gruppo open (10.5% Vs 5%), così come nel recupero della continenza a 3 mesi (61% Vs 54%).

Riteniamo che questi risultati di recupero precoce della continenza, sovrapponibili a quelli presenti in letteratura (Rassweiler et al, 2006; Curto et al, 2006; Guilloneau et al, 2002), siano legati alla tecnica chirurgica.

Nel gruppo open, in realtà, abbiamo notato una differenza con i dati presenti in letteratura relativi al recupero della continenza, fra i 3 e i 6 mesi, osservando nel nostro studio un numero maggiore di pazienti continenti.

Nella valutazione dei tempi di recupero della continenza, abbiamo considerato solo il valore assoluto dei pazienti continenti, per cui pur osservando percentuali più basse rispetto a quelle presenti in letteratura i dati si dimostrano sovrapponibili nel gruppo open e migliori nel gruppo laparoscopico.

Nella valutazione del tipo di incontinenza (lieve, media e severa), non si sono osservate differenze tra i due gruppi in concordanza con i dati presenti in letteratura, anche se pochi lavori valutano questo tipo di parametro.

 

9.4 DISFUNZIONE ERETTILE

In entrambi i bracci di studio la dissezione dei peduncoli vascolari della prostata con tecnica nerve sparing è stata eseguita previa applicazione di clips, senza utilizzo di energia. I dati ottenuti fanno riferimento al campione di pazienti trattati con terapia medica. Infatti come già accennato nel disegno dello studio, tutti i pazienti sottoposti a procedura nerve sparing, subivano una riabilitazione con PGE-2 e successivamente terapia con inibitori delle 5-fosfodiesterasi. La percentuale di disfunzione erettile globale a 12 mesi è sovrapponibile in entrambi i gruppi (open 75% Vs laparo 70%), valori in linea con i dati presenti in letteratura, così come la percentuale di pazienti potenti dopo procedura nerve sparing (open 42% Vs laparo 50%) (Kundu et al, 2004; Michl et al, 2006; Rassweiler et al, 2006; Curto et al, 2006; Guilloneau et al, 2002).

Nel nostro studio abbiamo valutato  la differenza tra l’approccio bilaterale e quello monolaterale, osservando differenze statisticamente significative, con una riduzione della percentuale di disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale laparoscopica nerve sparing bilaterale, rispetto a quella open (28% Vs 43,7%, p<0.05). Il dato laparoscopico è risultato sovrapponibile a lavori presenti in letteratura, riteniamo che tale vantaggio sia dovuto ad una più accurata dissezione, legata alla migliore visualizzazione del fascio neurovascolare con la procedura laparoscopica (Rassweiler et al, 2006; Curto et al, 2006; Guilloneau et al, 2002; Stolzemburg et al, 2005). Nella nostra esperienza il miglioramento della tecnica, ha portato all’isolamento della fascia di Denonvillier, secondo le attuali conoscenze della anatomia nervosa della faccia posteriore della prostata, con un notevole vantaggio rispetto alla tecnica open, legato anche all’approccio anterogrado.

Tuttavia sappiamo che il principale gap per la valutazione della disfunzione erettile dopo prostatectomia radicale è rappresentato dalla indisponibilità di elementi standardizzati per l’ottenimento dei risultati. Ne consegue una disparità tra dati ottenuti dall’utilizzo di un questionario validato o non validato.

Nella nostra valutazione abbiamo ricavato i dati dalla somministrazione del questionario IIEF-5, così come nella maggior parte dei lavori riportati in letteratura. Ciononostante, non riteniamo possibile un vero confronto tra i dati della letteratura e  i nostri. Soltanto l’utilizzo di questionari validati e standardizzati, nel contesto di studi prospettici randomizzati, permetterà in futuro il confronto multicentrico dei risultati e quindi dei differenti approcci chirurgici.

 

 

 

 

                 10. CONCLUSIONE

Nella nostra casistica le  due tecniche sono sovrapponibili in termini di risultati funzionali e margini positivi.

Tuttavia, la tecnica laparoscopica risulta più indicata nei pazienti meritevoli di procedura  nerve sparing. Infatti, si osserva una maggiore percentuale di recupero della potenza nei pazienti sottoposti a procedura nerve sparing bilaterale. Riteniamo che questa condizione sia legata alla migliore visualizzazione intraoperatoria dei bundle e al miglior rispetto delle strutture anatomiche che si ottiene con la  tecnica anterograda.

Inoltre, in termini di recupero post-operatorio, la tecnica laparoscopica si è dimostrata più efficace, con una differenza statisticamente significativa, solo per quel che concerne l’utilizzo dell’analgesia post-operatoria.

La continua evoluzione della  tecnica laparoscopica eseguita presso il nostro centro, mette in evidenza una  progressiva riduzione dei tempi operatori e del sanguinamento intraoperatorio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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